Da Luci a San Siro a Chiamami ancora amore, passando per Fernando Pessoa e i classici della letteratura, ha circumnavigato l'amore in musica e parole con la curiosità intellettuale e l’esperienza del professore di liceo a contatto con generazioni di ragazzi. A tu per tu con Roberto Vecchioni per parlare di come oggi noi parliamo e viviamo d’amore.
Per Roberto Vecchioni scrivere una canzone d’amore è affascinante, difficile o scontato?
«Mi considero un uomo molto fortunato: in riva ai 70 anni, infatti, posso contare una vita con tanto amore, dato e ricevuto, e non solo per la mia famiglia, le mie donne, i miei figli, gli amici. L'amore per me è la cultura, le parole, la musica, il verso di una poesia che ti accompagna o il fotogramma di un film che non dimenticherai mai, il rapporto con Dio e i miei dialoghi a distanza con Lui, questo cercarsi insieme. Quindi, tutto ciò che ho scritto, anche non direttamente per una donna, lo considero amore».
In quarant’anni di carriera il tuo approccio con la canzone d’amore è cambiato? Quali sono gli elementi di continuità e quelli di rottura?
«Tutto cambia con il trascorrere degli anni, nella vita come nella scrittura, che poi per me sono esattamente la stessa cosa. Quindi è un viaggio, dalla passione infuocata alla riflessione più acuta, con diverse stazioni e con differenti emozioni, tutte belle allo stesso modo, comunque, perché resta la base dell'amore, forte, inviolabile, e cambiano solo le angolazioni dalle quali lo osservo, i tempi di come lo vivi, i profumi delle stagioni che attraversi».
Esiste il rischio di essere banali o si può cantare “ti amo” senza esserlo?
«Esiste, ma non dipende mai dal "ti amo", dipende solo da quello che vivi, che senti, che soffri o che festeggi in quel momento. Può essere la frase più banale come l'espressione più profonda e intima, dipende dal perché e dal come si pronuncia».
Hai affrontato il tema dell’amore non solo come cantautore, ma anche
come professore: come si è sviluppato il rapporto con i sentimenti
nelle generazioni degli ultimi trent’anni?
«Sono cambiati i
contorni, quello che i ragazzi vivono. Se volete, sono cambiate le
tendenze, le mode, i climi sociali, gli strumenti di comunicazione,
persino gli orari dei ragazzi. Il sentimento no, quello non è mai
cambiato e non cambierà mai: il primo sussulto del cuore, la prima
condivisione, la prima delusione, la ragazza del primo banco e il
ragazzo di 5a che non fa caso a te. La scuola è il campo di gioco
infinito dei sentimenti degli adolescenti».
C’è un classico greco o
latino che consiglieresti ai ragazzi per saperne di più su questo
sentimento?
«L'inno ad Afrodite di Saffo. Una volta si mandava un
bigliettino ora un Sms. E poi ci sono la Rete, i Social network e via
dicendo».
Cosa ne pensi dei nuovi media come forma di comunicazione
dell’amore?
«Non si può, e non si deve, fermare il tempo, quindi anche
l'evoluzione della comunicazione dell'amore e non solo. Per altro, se
penso alla mia gioventù, già usavo strumenti diversi da quelli di mio
padre o mio nonno, quindi è normale che oggi i ragazzi facciano uso di
canali differenti da quelli delle generazioni precedenti. L'importante è
non fermarsi solo a tutto ciò che oggi è
virtuale, plastificato, freddo. Bisogna andare oltre un Sms o una dedica
sulla bacheca di facebook: prima o dopo, è bello guardarsi negli occhi,
parlare».
E veniamo alle lettere d’amore. In una tua canzone,
ispirata a Fernando Pessoa, sostieni che le lettere d’amore sono la
forma migliore per mettere a nudo il proprio sentimento. Ogni lettera
d’amore non scritta è una scommessa persa?
«Sicuramente, per me e
soprattutto per Pessoa che, in punto di morte, come si racconta nella
canzone, si accorge che "dentro quel negozio di tabaccheria c'era più
vita di quanto ce ne fosse in tutta la sua poesia", perché ha
tralasciato la semplicità della vita, quindi dell'amore, per "un
delirante universo senza amore", dove era tutto grande, ma non vivibile».
Nella stessa canzone canti: «Solo chi non ha scritto mai lettere
d’amore fa veramente ridere». Come sconfiggere la paura del ridicolo?
«Non avendo paura di raccontare i sentimenti prima di tutto a sé stessi».
Si avvicina San Valentino: una canzone di qualche tuo collega che
ruberesti per dedicarla a tua moglie?
«Verranno a chiederti del
nostro amoredi Fabrizio De André».