«Essere prete è un carisma,
cioè un fuoco che, per rimanere
acceso, deve essere
alimentato continuamente
». Monsignor Francesco
Lambiasi, vescovo
di Rimini e presidente della
Commissione per il clero
e per la vita consacrata, spiega perché
la Cei sta affrontando il tema della
formazione permanente nella vita dei
sacerdoti: «Sappiamo che il seminario
non può consegnare un prodotto finito
e, anzi, che il prodotto
non sarà mai
finito fino all’ultimo
giorno. La formazione
avviene
nel ministero, non
corre come una
strada parallela accanto
alla vita, ed è
una conversione permanente».
Cita il Concilio, monsignor Lambiasi:
«Il Vaticano II ci ha insegnato anche
l’importanza del presbiterio non nella
sua accezione architettonica, che ha bisogno
di sacerdoti missionari. Finora il inpastore
ha rischiato di rappresentare colui
che cura l’esistente. Il Papa ci invita
a uscire, parla di riforma della Chiesa in
uscita missionaria e per questo c’è bisogno
di preti formati».
E sebbene «i preti in Italia sono complessivamente
sani», sono però «preti
in affanno, stanchi, che vanno capiti
perché il rischio della burocratizzazione
è reale. Sta soprattutto a noi vescovi
tenere acceso quel fuoco che è la passione
per il Vangelo.
Il vescovo è responsabile
della santità dei suoi sacerdoti. E,
nel documento che abbiamo discusso
ad Assisi, stiamo cercando di dare suggerimenti
concreti per facilitare la vita
in comune, per esempio, ed evitare che
il prete si chiuda o viva quella che il
Concilio chiamava amara solitudine.
Ma anche per scandire le tappe dei primi
anni di sacerdozio, dell’età attorno
ai 45 anni quando si fanno i primi bilanci,
dell’età anziana o della malattia.
Non si tratta di dare dei compitini ai nostri
sacerdoti, ma di essere, da vescovi,
quelle guide che aiutano ad andare verso
le periferie esistenziali di cui parla
papa Francesco».