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martedì 08 ottobre 2024
 
 

Le lunghe giornate del nostro don

23/12/2014  Ha sempre meno aiuto, è sempre più anziano, ha sempre più impegni e non va mai in pensione. Come vive e lavora, oggi, un sacedote in quattro storie che abbiamo raccolto dalla Sicilia al Piemento. I nuovi percorsi formativi allo studio della Conferenza episcopale italiana.

«Essere prete è un carisma, cioè un fuoco che, per rimanere acceso, deve essere alimentato continuamente ». Monsignor Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini e presidente della Commissione per il clero e per la vita consacrata, spiega perché la Cei sta affrontando il tema della formazione permanente nella vita dei sacerdoti: «Sappiamo che il seminario non può consegnare un prodotto finito e, anzi, che il prodotto non sarà mai finito fino all’ultimo giorno. La formazione avviene nel ministero, non corre come una strada parallela accanto alla vita, ed è una conversione permanente».

Cita il Concilio, monsignor Lambiasi: «Il Vaticano II ci ha insegnato anche l’importanza del presbiterio non nella sua accezione architettonica, che ha bisogno di sacerdoti missionari. Finora il inpastore ha rischiato di rappresentare colui che cura l’esistente. Il Papa ci invita a uscire, parla di riforma della Chiesa in uscita missionaria e per questo c’è bisogno di preti formati».
E sebbene «i preti in Italia sono complessivamente sani», sono però «preti in affanno, stanchi, che vanno capiti perché il rischio della burocratizzazione è reale. Sta soprattutto a noi vescovi tenere acceso quel fuoco che è la passione per il Vangelo.
Il vescovo è responsabile della santità dei suoi sacerdoti. E, nel documento che abbiamo discusso ad Assisi, stiamo cercando di dare suggerimenti concreti per facilitare la vita in comune, per esempio, ed evitare che il prete si chiuda o viva quella che il Concilio chiamava amara solitudine.
Ma anche per scandire le tappe dei primi anni di sacerdozio, dell’età attorno ai 45 anni quando si fanno i primi bilanci, dell’età anziana o della malattia. Non si tratta di dare dei compitini ai nostri sacerdoti, ma di essere, da vescovi, quelle guide che aiutano ad andare verso le periferie esistenziali di cui parla papa Francesco».

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