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martedì 25 marzo 2025
 
medio oriente
 

Le macerie della storia sotto i grattacieli della Trump Gaza

03/03/2025  Il progetto immaginato dal presidente americano seppellisce non solo le macerie della guerra, ma 3.500 anni di storia e identità. Per rendere la Striscia “grande” non servono sogni immobiliari, ma il recupero della sua memoria di crocevia di popoli (di Giorgio Bernardelli)

di Giorgio Bernardelli
direttore di Asia News

Le macerie della guerra che spariscono per lasciare il posto all”età dell’oro” della Trump Gaza. Proviamo per un’istante a stare al gioco dell’inquilino della Casa Bianca: chiudiamo gli occhi sui particolari più grotteschi e fermiamoci sulla ricetta per rendere la Striscia “un posto grande”, come direbbe lui. Che cosa andrebbero davvero a seppellire i grattacieli e i resort dell’ormai famigerato video condiviso da Donald Trump? Qualcosa come 3500 anni di storia.

Non è nemmeno il cattivo gusto degli aperitivi là dove sono morte migliaia di persone o la caricatura degli arabi rappresentati con le odalische con la barba il problema più grande. L’insulto vero alla tragedia che da 16 mesi Israele e la Palestina stanno vivendo è l’idea di fondo del video: il postulato secondo cui Gaza (e in fondo tutto il Medio Oriente) sia un non-luogo, un posto insignificante da riplasmare a proprio piacimento a partire dall’unica cosa che può avere un valore: la sua riviera. Solo che questa cosa non la pensa solo Trump. Da vent’anni a questa parte siamo talmente abituati a sentirne parlare come un posto maledetto che, in fondo, siamo tutti convinti che la Striscia non sia nient’altro che il gigantesco campo profughi al confine con l’Egitto, andatosi a ingrossare a ogni tornante del conflitto arabo-israeliano.
Ma ci sbagliamo di grosso. Gaza esiste come città almeno dal XV secolo avanti Cristo. E a volerla dire tutta altri insediamenti c’erano stati anche prima, perché da sempre quest’area è stato un crocevia importante sulla Via Maris, il grande corridoio commerciale dell’antichità che collegava l’Egitto alla Mesopotamia. Da Gaza sono passati Alessandro Magno e l’imperatore Adriano. La stessa parrocchia latina a cui papa Francesco telefona ogni sera è intitolata alla Sacra Famiglia, perché per forza nella fuga in Egitto Giuseppe e Maria con il piccolo Gesù devono essere passati da qui.

 

Un vescovo di Gaza partecipò al Concilio di Nicea nel 325; poi venne la stagione dei discepoli di Antonio che proprio in quella che oggi è la Striscia fecero fiorire il monachesimo d’Oriente. Secondo la tradizione islamica il bisnonno stesso di Maometto sarebbe morto qui e sarebbe sepolto nel quartiere di al Daraj.
Della lunghissima storia di Gaza parla la Grande Moschea Omari, sorta nel VII secolo dove prima doveva esserci stato un tempio dei filistei e poi certamente la basilica bizantina dedicata a San Giovanni: le cronache raccontano che 700 anni fa la sua biblioteca aveva 20mila manoscritti. E poi la chiesa di San Porfirio, che risale al V secolo ed è tuttora la “casa” della piccola comunità greco-ortodossa di Gaza, e il palazzo del Pasha, costruito dai Mamelucchi nel XIII secolo che diventò anche il forte di Napoleone, altro grande della storia che passò da Gaza nella sua campagna d’Egitto. Tutto questo è Gaza. E basterebbe un po’ di pace per poter ricominciare a scavare e portare alla luce tante altre pagine sepolte della sua storia. Ci stavano provando, ad esempio, l’Ecole Bilique et archéologique française dei domenicani di Gerusalemme insieme al Louvre, in una campagna su tre diversi siti tra cui la grotta del monaco Ilarione, grande figura della tradizione patristica.

 La guerra, ovviamente, ha fermato tutto. E tra le macerie che Trump a Gaza vuole rimuovere in fretta per fare spazio ai grattacieli ci sono anche pietre di grande rilevanza culturale. Proprio all’inizio di questo mese è stato pubblicato un rapporto a cui ha collaborato l’università di Oxford che ha fatto il punto sulle condizioni in cui si trovano i 316 siti di importanza storica censiti a Gaza: le immagini dei satelliti e le testimonianze sul campo hanno rivelato che ben 226 sono stati danneggiati dai bombardamenti israeliani, in 138 casi in maniera grave. C’è una Gaza da ricostruire, certo. Ma non sul nulla. Perché se si vuole renderla grande è dalla sua storia che occorre ripartire. Era crocevia dei popoli, deve ritornare a esserlo se vogliamo che l’orrore non torni più. Hamas la si combatte così, non con i sogni interessati dei palazzinari e il loro mondo di resort.

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