L’esito era tutto sommato prevedibile. Come pure le reazioni di chi, dal
presidente Obama in giù, parla di «passo storico verso l’uguaglianza». Con
cinque voti a favore e quattro contrari, la Corte Suprema americana ha bocciato
il Defense of Marriage Act (Doma), la legge voluta da Bill Clinton e approvata
nel 1996 (anche con il concorso dei democratici) che indicava il matrimonio tra
uomo e donna come l’unica forma riconosciuta ai fini dei diritti federali delle
coppie.
Il Doma, va precisato, non impediva ai singoli stati americani di
legalizzare il matrimonio gay – cosa che in molti hanno fatto negli ultimi anni
– ma semplicemente limitava l’estensione di alcuni benefici in termini
tributari, sanitari e pensionistici alle sole coppie eterosessuali escludendo
le coppie omosessuali la cui unione fosse riconosciuta dalla legislazione di
uno stato. Spazzato via. Ora, non solo mogli e mariti, ma tutti potranno godere
dei benefici previsti dalle leggi federali.
La questione arrivata sul tavolo della Corte Suprema riguardava il caso di Edith
Windsor e Thea Spyer, una coppia omosessuale residente a New York e sposate a
Toronto, in Canada. Dopo la morte di Spyer nel 2009 il fisco americano
applicando il Doma, tassò l'eredità di Edie Windsor obbligandola a pagare 363
mila dollari. La tassa non sarebbe stata imposta se il suo coniuge fosse stato
un uomo. L'anno scorso la Corte d'appello di New York ha bocciato la norma
oggetto del contendere e oggi la Corte Suprema ha confermato la decisione.
Nel
verdetto, scritto dal giudice Anthony Kennedy, il Doma viene definito «incostituzionale»
perché affermare che il matrimonio è solo l’unione fra un uomo e una donna «viola
la pari tutela davanti alla legge di tutti i cittadini che il governo deve
garantire». Inoltre, secondo il testo scritto da Kennedy e sostenuto dai
quattro giudici liberal della Corte Suprema, «il Doma viola il diritto degli
Stati di legiferare sul tema del matrimonio».
Ciò che va sottolineato è che secondo l’accusa questo caso violava una
clausola dell’emendamento numero 14 secondo il quale lo Stato «non può negare
ad alcuni nella sua giurisdizione l’eguale protezione delle leggi». Si tratta
di un emendamento che risale al 1868 per garantire protezione agli
afroamericani appena liberati dalla schiavitù ma che comunque non godevano
pienamente degli stessi diritti dei bianchi.
È importante notare, però, che una questione così delicata dal punto di
vista antropologico e sociale venga “decisa” non dal legislatore ma da una
sentenza di una Corte chiamata a decidere su un caso circoscritto e del tutto particolare.
Un copione, questo, che si vede in Italia dove si moltiplicano i richiami
dell’Europa, della Corte Costituzionale e i moniti della Cassazione affinché il
Parlamento faccia presto e legiferi. Ovviamente nel senso del mainstrem
dominante: concedere alle coppie gay di sposarsi e adottare figli.