Gigi Bisceglia si trova nella parte palestinese di Betlemme, dove coordina le attività in Terra Santa del Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo), Ong presente in 43 Paesi e parte del network della famiglia salesiana di don Bosco.
Insieme a 34 organizzazioni (ActionAid, Cesvi, Catholic Relief Service, Oxfam, Save the Children, World Vision e altre), il Vis ha diffuso un appello per un immediato cessate il fuoco, che non si limiti ad “un semplice ritorno allo status quo”, ma assicuri “sicurezza per entrambe le parti, la sovranità palestinese ed il rispetto del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani”.
Bisceglia ha una posizione netta; con altri cooperanti italiani ha firmato un testo che denuncia “l’equidistanza a tutti i costi”, di fronte “allo squilibrio tra una forza occupante e una popolazione occupata”.
Qual è la situazione a Betlemme e in Cisgiordania?
Durante il giorno, a parte le sirene, la situazione non è molto cambiata dall’inizio dell’offensiva israeliana. Alla sera, dopo l’Iftar (la rottura del digiuno nel mese di Ramadan), occorre invece fare attenzione agli spostamenti: qui come in altre città della Cisgiordania, ci sono scontri tra manifestanti palestinesi, che lanciano sassi e sono soprattutto giovani dei campi profughi, e l’esercito israeliano che risponde con proiettili di gomma, gas lacrimogeni e acqua puzzolente (skunk water). Ieri sono arrivati 4 razzi lanciati da Gaza dalle Brigate al-Qassam, braccio armato di Hamas: erano diretti contro i nuovi insediamenti dei coloni, ma il lancio era molto impreciso. In ogni caso, avevano una quantità di esplosivo minimo, essendo razzi siriani di provenienza cinese assemblati artigianalmente a Gaza. La situazione è invece nettamente peggiorata nell’ultimo mese, dal rapimento dei tre soldati israeliani, il 12 giugno. Da allora, la Cisgiordania è stata messa a ferro e fuoco, con continui arresti di membri di Hamas.
Qual è invece la situazione a Gaza?
Drammatica. Un milione e 700 mila persone vivono in una delle aree più sovraffollate della terra, non hanno rifugi o possibilità di fuga: difficile che i raid non causino vittime. È una gabbia a cielo aperto. I quattro ospedali sono al collasso: non ci sono più garze e medicine, manca persino il betadine per disinfettare; il gasolio è praticamente finito e le sale operatorie e di terapia intensiva sono rimaste senza elettricità. Mentre i civili sono terrorizzati dall’invasione via terra, il Governo di unità nazionale tra Hamas e Fatah è morto ancora prima di nascere e il Ministero della Salute di Ramallah non ha mai controllato la situazione sanitaria nella Striscia. Insomma, a Gaza è in atto una strage che è anche una punizione collettiva di una popolazione civile indifesa, vietata dalla IV Convenzione di Ginevra (art. 33).
Chiedete un cessate il fuoco?
Sì, serve immediatamente. I consolati stranieri hanno intimato ai propri connazionali di lasciare la Striscia; ora dei cooperanti internazionali hanno finanziato un convoglio umanitario, ma non c’è modo di farlo entrare. Tra l’altro, i raid hanno colpito e distrutto anche il valico di Erez, che collega Gaza a Israele. Ma anche il semplice ritorno allo status quo sarebbe inaccettabile.
"In passato, l’odio non mi sembrava così intenso"
Perché?
A Gaza, la popolazione era strangolata economicamente e assediata fisicamente. Da quando Hamas ha vinto le elezioni nel 2006, è scattato l’embargo; a seguito della presa di potere in Egitto, i militari hanno chiuso il valico di Rafah, annullando gli ingressi di beni che garantivano la sopravvivenza della popolazione.
Cosa ti colpisce maggiormente dell’attuale crisi?
Il fatto che dopo il rapimento dei tre soldati, i coloni e gli ebrei ultraortodossi abbiano scatenato una reazione xenofoba con la “caccia al palestinese” sugli autobus, magari organizzata tramite i social media, fino ad arrivare a rapire e bruciare vivo un sedicenne. In passato, l’odio non mi sembrava così intenso. Del resto, la crisi sta radicalizzando le posizioni: nel Governo e nella società israeliana sta vincendo la linea dura, tra i palestinesi Hamas sta decisamente recuperando il consenso perduto nell’ultimo anno. Nel frattempo, cellule islamiste iniziano a diffondersi.
Quali sono i progetti del Vis in Palestina?
Partendo dall’insegnamento di don Bosco, lavoriamo con i giovani. Sosteniamo una scuola tecnica dei Salesiani, qui da 50 anni, e collaboriamo con l’Università di Betlemme, dove abbiamo promosso da dieci anni un master di cooperazione e sviluppo. Grazie agli ultimi fondi della Cei (l’8 per mille), abbiamo appena aperto un master in gestione della pubblica amministrazione, per formare i futuri funzionari palestinesi. Da ultimo, abbiamo una cantina vinicola sulle colline di Betlemme che produce vino per finanziare le opere salesiane in Medio Oriente.