“La montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all'altro, silenzio, tempo e misura”. Lo si può leggere nel romanzo Premio Strega di Paolo Cognetti Le otto montagne, da cui è tratto l’omonimo film in concorso al Festival di Cannes. A dirigerlo sono Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, e i protagonisti sono Alessandro Borghi e Luca Marinelli, di nuovo insieme dopo Non essere cattivo.
Interpretano due amici che si sono conosciuti in montagna, quando erano piccoli. L’uno era un “montanaro”, l’altro andava lì in vacanza, mentre gli altri mesi li passava a Torino, dove il padre lavorava in Fiat. Tra i due il legame è forte, e cresce con loro, con l’andare degli anni. Le otto montagne è una storia di amicizia, di reciproca fiducia. Cognetti collabora al film, fa anche un cameo tra gli avventori di un bar, porta la sua vita sullo schermo, come era già successo in Sogni di Grande Nord.
Il risultato è seducente, contemplativo. Nell’atmosfera rarefatta, la natura ruba la scena. Si ragiona sulla famiglia. È come se fosse l’epopea di due fratelli che devono confrontarsi con la brutalità dell’esistenza. Entrambi vengono da un rapporto difficile con i propri padri. L’essere figli è la prima sfida, che poi si trasforma nello scoprirsi genitori. Uno dei grandi temi è anche quello della conoscenza, della comprensione dell’altro. È più utile aver scalato le otto montagne o essere arrivati sulla cima più alta, posizionata al centro? È una domanda che si pongono in Oriente, e che viene ribaltata sullo spettatore. A ognuno la sua risposta. Nel film vengono mostrate entrambe le strade. L’uno è rimasto sempre nello stesso posto, l’altro ha scritto, girato il mondo. Le otto montagne è una vicenda sul partire e sul restare, sull’essenza del viaggio. È un percorso, spesso fatto di salite, di solitudine. Incontri e scontri, silenzi, la quiete che si contrappone alla burrasca. Di sicuro la prova migliore del cineasta belga Felix Van Groeningen.