Più
che trasparenza quella dell’Inps sul Fondo clero che eroga le
pensioni ai sacerdoti italiani e ai ministri di culto delle altre
religioni è vera e propria disinformazione. Improvvisamente l’Inps
ha scoperto che il Fondo è fuori bilancio nel senso che ha un
disavanzo che ogni anno aumenta. Nel 2013 lo sbilancio è stato di 98
milioni di euro, ma il deficit patrimoniale accumulato nel corso
dell’anno ha superato di poco i due miliardi di euro. Di qui
l’allarme, subito ripreso da molti soprattutto sui social network,
che, nonostante la crisi e l’otto per mille, devono essere i
cittadini italiani a pagare le pensioni ai preti.
Il setaccio della
trasparenza dell’Inps non fa infatti distinzioni in una situazione
complessa come quella dei sacerdoti italiani, che sono la maggior
parte dei beneficiari del Fondo clero. Che i vitalizi erogati siano
ogni anno superiori ai contributi incassati è cosa nota e da anni
preoccupa la Conferenza episcopale italiana. Vent’anni fa l’allora
presidente dell’Inps Gianni Billia aveva detto praticamente le
stesse cose. Prendiamo il 1991. Gli iscritti al Fondo, cioè i
sacerdoti che pagavano i contributi erano 24 mila 400 e i pensionati
14 mila 650. Le entrate ammontavano a 53 miliardi di lire e le uscite
per le pensioni a 249 miliardi.
Il calo dei sacerdoti che pagano (in
realtà lo fa la Cei, dopo la fine della congrua con il rinnovo del
Concordati e le Intese) e l’aumento dei sacerdoti anziani ha
portato alla situazione di oggi.
Nel 2003 l'età pensionabile dei sacerdoti portata a 68 anni
Nella
situazione attuale si può dire per semplificare che c’è un
sacerdote che paga e tre pensionati che incassano. Ma la situazione è
ingarbugliata perché le norme assegnano al sacerdote un regime
particolare: non è lavoratore dipendente e non è lavoratore
autonomo. Quindi non si può applicare il sistema contributivo e
neppure quello retributivo. Per questo motivo tutte le riforme delle
pensioni avvenute fin qui, da Dini alla Fornero, non hanno toccato il
Fondo clero. Ma la Cei nel 2000 aveva chiesto di fare una riforma del
Fondo, presentando un’ampia proposta all’allora governo di
Massimo D’Alema. Se ne applicò solo una parte, quella che andava a
favore del governo, ma si evitò di parlare di riconoscimenti,
riscatti, congiunzioni di contributi.
Nel 2003 la Cei decise
autonomamente di portare l’età pensionabile dei sacerdoti a 68
anni, quando per tutti gli altri pensionati Inps erano sufficienti 65
anni. Dal prossimo primo gennaio 2016 tutte le età di accesso alla
pensione subiranno un aumento di altri quatto mesi, dopo i tre mesi
già decisi, e anche questo provvedimento avrà effetti disastrosi
sul Fondo. Alla Cei da diversi mesi ci si chiede perché imporre
questo ultimo requisito a chi ha già precorso i tempi e da 12 anni
si è lasciato alle spalle tutti i requisiti più bassi. Molti
pensano che la responsabilità sia della legge Fornero, ma non è
così perché la decisione risale alla manovra anticrisi del 2009.
Così i sacerdoti andranno in pensione a 68 anni e sette mesi, che
vengono giudicati troppi anche per una categoria che ha un elevata
età media.
In sostanza l'aumento della speranza di vita applicato al
Fondo clero, che ha già operato in tale senso, risulta non tanto
logico e rischia di provocare un numero elevato di ricorsi
amministrativi se non giudiziari. Sulla questione c’è stata anche
un interrogazione parlamentare a gennaio e il governo ha convenuto
che applicare l’aspettativa di vita a tutte le categorie e a tutte
le forme di previdenza non è logico e che l’Inps dovrà tenerne
conto.
Una pensione molto misera
Il
Fondo clero, nato negli anni Sessanta, quando ancora c’era la
congrua, si basa su un contributo fisso e non legato alle variazioni
di reddito. Per il 2015 tale contributo è di 1.699,92 euro all’anno
per ogni sacerdote in attività. È fissa praticamente anche la
pensione, circa 620 euro lordi al mese e cioè 502,93 euro netti. Non
si può dire che si tratti di pensioni d’oro. È chiaro che essendo
fissa l’entrata e fissa l’uscita la variabile è legata
all’invecchiamento del clero e alla diminuzione delle vocazioni. Ma
è sempre stato così e per questo il Fondo è perennemente, anzi
potremmo dire strutturalmente in rosso.
La nota dell’Inps aggiunge
che quasi il 74 per cento dei sacerdoti ha anche un'altra pensione.
Ma non dice che in questo caso la pensione erogata dal Fondo clero
subisce una decurtazione di un terzo. Per tutte queste ragioni non è
possibile far passare i preti come altri lavoratori e quindi non è
nemmeno giusto che essi passino al sistema contributivo. Nel caso lo
facessero, cioè se si applicasse il contributivo al 60 per cento
delle pensioni con decorrenza successiva al 1999 la decurtazione
delle pensione attuale sarebbe del 50 per cento, cioè sotto la
minima e quindi pari a 250 euro al mese. Ogni anno l’Inps concede
al Fondo i soldi necessari al riequilibrare i conti. Ma, fa notare
Vittorio Spinelli, consulente previdenziale della Cei, «forse
sarebbe il caso che qualche governo cominci a prendere in
considerazione il fatto di ripianare per legge il deficit del Fondo
come debito morale verso una categoria silenziosa, ma particolarmente
incisiva nella collettività nazionale per gli incalcolabili servizi
resi nei campi dell’assistenza, del disagio sociale e della
custodia dei beni culturali».
Ciò non significa che si debba
tuttavia continuare così. Fonti della Cei fanno notare che la porta
è sempre aperta e appena il governo vorrà, insieme ai ministri di
culto delle altre religioni legate anch’esse al Fondo clero, si può
avviare un tavolo di discussione per regolare daccapo tutta la
materia, sulla quale le criticità sono molte, ma esse non si
affrontano né si risolvono facendo facili cose in realtà molto
complesse.