Il 14 febbraio 2011 migliaia di persone scesero nelle strade e nelle piazze del Bahrein per dare voce alle proprie richieste. La maggioranza dei manifestanti, sciiti, si lamentava di essere stata politicamente ed economicamente emarginata dalla famiglia reale Sunni Al Kahlifa, sunnita, che domina ogni aspetto della vita sociale in Bahrein. Le autorità risposero a una protesta in gran parte pacifica con un uso della forza giudicato eccessivo e del tutto non necessario. Tra febbraio e marzo almeno 35 persone morirono, delle quali 5 in custodia alle forze di sicurezza. A metà marzo il Governo dichiarò uno stato di emergenza di 3 mesi, durante il quale più di 4mila persone furono allontante dal proprio posto di lavoro, centinaia furono arrestati, maltrattati o addirittura torturati mentre erano detenuti. Tra aprile e ottobre, dozzine di persone furono giudicate da tribunali militari e condannate. Per far fronte alla montante disapprovazione della comunità internazionale, nel giugno 2011 la famiglia reale istituì una Commissione d'inchiesta indipendente (BICI), che comprendeva cinque rinomati esperti legali internazionali di diritti umani, con il compito di indagare sulle violazioni degli stessi avvenute nel Paese. Alla pubblicazione del rapporto della Commissione, nel novembre 2011, il Governo si impegnò pubblicamente ad accogliere le raccomandazioni espresse nel rapporto.
Il rapporto della BICI dichiarava senza mezzi termini che il Bahrein si trovava di fronte alla scelta radicale tra stato di diritto o precipitare in una spirale di repressione e instabilità: il Governo si era infatti reso responsabile di gravi violazioni dei diritti umani e, perciò, la Commissione esprimeva una serie di raccomandazioni impellenti fra le quali, tra le altre, quelle riguardanti l'urgenza di accertare le responsabilità e di svolgere indagini indipendenti sulle denunce di tortura e di altri abusi. Apparentemente il Governo pareva aver recepito positivamente queste richieste e si dichiarava pronto a metterle in atto.
Evidentemente, a un anno di distanza, le promesse sono rimaste lettera morta. Il rapporto di Amnesty International evidenzia che le autorità hanno invece consolidato la repressione: nell'ottobre 2012 è stato emanato il divieto di ogni raduno pubblico in violazione a qualsiasi diritto di libertà d'espressione, mentre in novembre a 31 esponenti dell'opposizione è stata ritirata la cittadinanza. Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Nordafrica di Amnesty International, non ha esitato a definire una farsa il processo di riforme nel Paese. E ha aggiunto: «Risulta evidente che le autorità del Bahrein non hanno nemmeno la volontà di intraprendere le azioni necessarie per le riforme. Asserire il contrario dimostra unicamente lo scarto esistente tra retorica e realtà».
Secondo Amnesty International, a oggi il numero di indagini sui casi di tortura è stato decisamente basso e finora non è stato reso pubblico alcun risultato che dimostri che investigazioni indipendenti e trasparenti siano effettivamente avvenute. Solo pochissimi ufficiali di basso rango e appena due di grado superiore sono attualmente sotto processo per l'uccisione di alcuni manifestanti e il maltrattamento di detenuti. Non è stata nemmeno avviata alcuna indagine per l'identificazione di chi ha ordinato gli abusi. La promessa di giustizia sembra solo uno slogan per pacificare la popolazione, mentre per le vittime di violenza e per le loro famiglie non è altro che un'affermazione aleatoria. L'uso della forza indiscriminato, intanto, non accenna a diminuire. Nel primo anniversario della pubblicazione del Rapporto della BICI, Amnesty International continua a richiedere immediato rilascio degli obiettori di coscienza detenuti, indagini trasparenti sui casi di tortura, il rinvio a giudizio di chiunque, in qualsiasi anello della catena di comando si trovi, responsabole di aver ordinato abusi e violenze. La comunità internazionale, inoltre, in particolar modo Usa e Gran Bretagna, dovrebbe immediatamente denunciare le ripetute violazioni dei diritti umani e far seguire alle dichiarazioni di condanna i fatti, senza nascondersi dietro la "favola" delle riforme.
Le autorità del Bahrein hanno assicurato nel maggio 2012 che tutti i casi di detenzione erano motivati da comportamenti e azioni criminali e non per aver esercitato il diritto di espressione e associazione. Il 4 settembre 2012 l'Alta corte criminale d'Appello ha emesso sentenze di condanna dai 2 anni fino all'ergastolo. Dall'inizio delle proteste fino a oggi almeno 70 persone sono morte a causa dell'uso non necessario della forza da parte delle autorità. Di queste, almeno 24 da quando è stato pubblicato il Rapporto della BICI. Secondo la legislazione penale del Bahrein, e secondo la Convenzione Onu contro la tortura e altri trattamenti o punizioni inumane e degradanti, sottoscritta dallo stesso Bahrein, esiste l'obbligo di dar seguito alle denunce di tortura fatte da quasiasi individuo in qualunque territorio sotto la sua giurisdizione. È invece opinione fondata della Commissione che, all'interno del sistema di sicurezza, la mancata identificazione di molti ufficiali abbia generato un clima diffuso di impunità.
Matar Ebrahim Matar, membro della società islamica al-Wefaq, principale blocco d'opposizione, è stato arrestato il 2 maggio 2011 e trasferito in una località sconosciuta. Dopo il rilascio ha dichiarato ad Amnesty International: «Sono stato in isolamento per 45 giorni. Sono stato interrogato, mentre ero bendato, ammanettato e minacciato di essere trattato come un animale se non avessi cooperato. Per molti giorni ho subito privazione del sonno e sono stato costretto a restare in piedi per ore. Ho potuto contattare il mondo esterno solo 3 settimane dopo l'arresto, senza poter comunicare dove ero detenuto, e sono comparso davanti al giudice senza la presenza di un avvocato. Un altro caso è, se possibile, ancora più eloquente. Una donna agente di sicurezza accusata di aver torturato Nazeeha al-Saeed, giornalista del Bahrein per la televisione francese France 24 e detenuta nel 2011, è stata assolta da tutte le accuse nell'ottobre 2012. Nazeeha ha dichiarato di essere stata picchiata da un gruppo di ufficiali, uomini e donne, mentre era bendata; una donna poliziotto le infliggeva scariche elettriche alle braccia mentre veniva insultata e umiliata. La donna è stata in grado di identificare tre donne e un uomo coinvolti nelle torture e ha presentato denuncia, allegando rapporti medici e forensi. A oggi solo un ufficiale su quattro è stato processato e, successivamente, assolto da tutti i capi d'imputazione.
Ali Hussein Neama aveva 16 anni e viveva nel villaggio di Sadad. Il 28 settembre 2012 è stato colpito a morte da colpi d'arma da fuoco. La sua famiglia ha raccontato ad Amnesty International che quella sera, insieme ad altri giovani, aveva gridato alcuni slogan. La polizia aveva cercato di disperdere la folla con gas lacrimogeni e Ali si era nascosto in una casa aspettando che l'aria tornasse respirabile. Non appena uscito allo scoperto, Ali veniva colpito alla schiena da un'arma di un poliziotto antisommossa. Accorsa immediatamente sul luogo, alla famiglia veniva ripetutamente impedito di avvicinarsi al corpo di Ali, steso al suolo, e non le veniva riferita alcuna informazione sulle sue condizioni. Solo la mattina seguente veniva comunicata ai familiari la morte del ragazzo. All'obitorio veniva loro vietato di scattare qualunque foto del cadavere, crivellato alla schiena da numerosi colpi. Il 29 settembre il direttore generale del Dipartimento settentrionale di Polizia ha reso noto che le forze dell'ordine erano state attaccate da un gruppo di persone con bombe molotov e si erano difese, ma il ragazzo era già ferito gravemente e veniva dichiarato morto sul posto.
In aperta contraddizione con la legge internazionale, minori sospettati di azioni criminali sono stati trattati come adulti e condannati al carcere. Jehad Sadq Aziz Salman, 16 anni, e Ebrahim Ahmed al.Moqdad, 15 anni, sono stati arrestati il 23 luglio 2012 durante una protesta antogovernativa a Bilad al-Qadeem e portati a una stazione di polizia. Nessun legale li ha assistiti durante gli interrogatori e non è stato loro concesso di contattare le famiglie durante le prime 48 ore. Hanno dichiarato di essere stati ripetutamente picchiati, sulla testa e sulla schiena, anche con il calcio di un fucile, prima di essere costretti a firmare "confessioni" senza l'assistenza di un legale. Da allora sono detenuti in una prigione per adulti. Il processo dei due ragazzi e di due adulti è iniziato il 16 ottobre; uno degli adulti ha lamentato la perdita dell'udito in un orecchio e dolori alla schiena come risultato dei pestaggi. I due ragazzi non hanno potuto raccontare del loro arresto e del trattamento subito. A fine ottobre i loro avvocati stavano ancora attendendo i risultati degli esami forensi. La prossima udienza è stata fissata per il 3 dicembre, e nel frattempoJehad ed Ebrahim sono ancora detenuti insieme agli adulti.
Il Rapporto della BICI ha sottolineato le ambiguità del codice penale del Bahrein: in particolare gli Articoli 165, 168, 169, 179 e 180 sono stati ripetutamenti citati per punire l'esercizio della libertà di espressione e di associazione in moltissimi casi di condanna. Nelle sue conclusioni la Commissione ha rimarcato che "l'ambiguità testuale di queste leggi e il modo in cui sono state applicate fa sorgere molte domande a proposito della loro conformità alle leggi internazionali sul rispetto dei diritti umani e con la stessa costituzione del Bahrein.
A quasi due anni di distanza dal fiorire della Primavera Araba, la situazione resta ancora confusa e aperta a molte soluzioni, alcune delle quali decisamente non auspicabili, in tutto il Medio Oriente e nell'area nordafricana. In Siria è in atto una vera e propria guerra civile, mentre la comunità internazionale resta a guardare. In Libia è ancora difficile prevedere il futuro prossimo. In Egitto dopo le elezioni forse è in atto un tentativo di tornare al tradizionale ruolo di guida e paciere dell'area, come dimostrato nel tentativo di mediazione nella recente crisi israelo-palestinese. In Bahrein, infine, come ripetutamente sottolineato a chiare lettere da Amnesty International, la mancata condanna netta delle repressioni da parte della comunità internazionale ha permesso alle autorità di proseguire, se non addirittura di perfezionare, una repressione silenziosa, che a oggi non accenna a diminuire d'intensità. Per il Paese, dopo la primavera sembra giunto il momento dell'autunno.