Fumare in gravidanza aumenta il rischio che i figli, da adulti, vadano incontro a schizofrenia. L’allarme viene dalla Finlandia, dove è stato recentemente condotto uno studio sul tema, pubblicato sull’American journal of psychiatry. I ricercatori sono partiti da un migliaio di giovani adulti finlandesi affetti da schizofrenia e da altrettanti giovani senza malattia e sono andati a cercare dati relativi alle madri e alle loro gravidanze. I risultati hanno mostrato che il rischio di schizofrenia è in media tre volte più alto nei figli delle donne che in gravidanza avevano livelli elevati di cotinina, una sostanza che deriva dalla nicotina, nel sangue prelevato durante il primo o secondo trimestre di gravidanza. Per il momento si può parlare solo di associazione tra fumo e malattia e non di rapporto causa-effetto, tuttavia gli autori dello studio sottolineano che, dal punto di vista biologico, un ruolo della sigaretta nell’insorgenza della schizofrenia è plausibile: sappiamo infatti che la nicotina attraversa la placenta per arrivare al feto, influenzandone in modo significativo lo sviluppo nervoso.
UN PERICOLO PER LE DONNE
Nonostante i rischi (si stima che in Italia ogni anno muoiano 83mila persone per patologie correlate al tabagismo), ancora oggi il vizio del fumo resta un problema, collegato a numerosi fattori di rischio, che riguarda milioni di persone. A ricordarlo anche la Lilt, Lega italiana per la lotta contro i tumori, in occasione della Giornata mondiale senza tabacco (31 maggio scorso).
A Milano l’associazione ha condotto, con il supporto della Doxa, un’indagine sull’abitudine della sigaretta in città: sotto la Madonnina sono 10,5 le sigarette consumate in media ogni giorno dai fumatori, dato invariato rispetto allo scorso anno. Anche il numero dei fumatori è rimasto stabile negli ultimi cinque anni: dal 2012 a oggi fuma il 20 per cento circa di chi ha più di 15 anni. Non vanno meglio i dati nazionali: in Italia fumano 10,9 milioni persone, cioè il 20,8 per cento della popolazione. L’età media dei fumatori oscilla tra i 35 e i 65 anni, con una prevalenza di uomini. Tuttavia un dato inquietante sulle donne viene dalle stime europee: nella Ue la mortalità per tumore del polmone nei soggetti di sesso femminile è aumentata del 500 per cento: «Una situazione che è destinata, nel giro di un anno e mezzo, a giungere anche in Italia», precisa Marco Alloisio, chirurgo toracico all’Istituto clinico Humanitas di Rozzano e presidente della Lilt Milano. Donne, ma anche giovani e sportivi: solo lo scorso anno Walter Ricciardi, commissario dell’Istituto superiore di sanità, affermava in un comunicato ufficiale che «la prevalenza di fumatori in Italia da otto anni a questa parte rimane pressoché invariata. Stupisce però che a fumare sia ancora uno sportivo su dieci, segno che dobbiamo ancora insistere molto sulla promozione dei corretti stili di vita, soprattutto nei confronti dei giovani».
CHE COSA CAUSA IL TUMORE
Ovviamente il pericolo numero uno è il tumore polmonare, con 41 mila nuove diagnosi l’anno: «Al fumo è possibile ascrivere l’85-90 per cento di tutti i casi», spiega Alloisio. Un dato, questo, che ovviamente cresce con la quantità di sigarette fumate e la durata dell’abitudine al fumo: «Il tumore al polmone rappresenta il 21 per cento dei decessi per neoplasie nella popolazione della sola Provincia di Milano».
Che il fumo sia la causa prima del tumore polmonare non è solo un’evidenza statistica: oggi sappiamo come concretamente la sigaretta attivi i processi di carcinogenesi. «I motivi per cui una cellula normale diventa instabile e si trasforma negli anni in cancro sono sempre più conosciuti», aggiunge il chirurgo. «Sono state individuate alcune delle sostanze contenute nelle sigarette responsabili dell’insorgenza della neoplasia: alcune agiscono direttamente, cioè con lesioni immediate, e altre invece hanno un’azione indiretta, con lente modificazioni nel corso del tempo, a livello dei bronchi». Anche perché non c’è solo la nicotina: «Questa crea dipendenza ma non è considerata una sostanza cancerogena come invece i prodotti chimici del catrame come il benzopirene». Tutte sostanze che sono causa anche di altre forme neoplastiche: tumori del cavo orale, della faringe e della laringe, dell’esofago e delle vie urinarie. Nelle donne, inoltre, è evidente un aumento dell’incidenza del cancro della mammella e del collo dell’utero.
SENSIBILIZZAZIONE, PRIMA DI TUTTO
Nonostante campagne e divieti, non si fa ancora abbastanza per prevenire. Secondo la Doxa si smette in genere dopo i 40 anni e in almeno un caso su tre senza successo, probabilmente perché senza alcun aiuto: «I farmaci che aiutano a smettere», ha detto Giovanni Apolone, direttore scientifico dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, «non sono ancora rimborsati dal nostro Sistema sanitario, nonostante le evidenze cliniche».
La strada della sensibilizzazione di adulti e giovani, che iniziano a fumare sempre più precocemente, è ancora lunga: «Un aiuto», aggiunge Alloisio, «è arrivato lo scorso 20 maggio, ad esempio, con l’entrata in vigore in tutta Europa delle norme dissuasive sull’acquisto e il consumo di prodotti contenenti tabacco e nicotina». Lilt Milano dal canto suo ha attivato il progetto “Agenti 00Sigarette”, rivolto ai bambini di quarta elementare. Nella maggior parte dei casi si comincia a fumare già durante l’adolescenza: «L’influenza della famiglia ma soprattutto dei coetanei è decisiva», aggiunge Alloisio. Il fumo rappresenta infatti una modalità di ostentare sicurezza. In particolare è possibile che molti adolescenti fumino per aumentare la stima in se stessi migliorando la loro immagine. E su questo bisogna certamente lavorare per creare un’inversione di tendenza.
MA L’ELETTRONICA FA MALE?
Cresce l’uso delle sigarette fatte a mano: solo a Milano secondo l’indagine Doxa pesano per un 13 per cento sfuggendo così dalle campagne di disincentivazione basate all’aumento del costo del pacchetto. Resta invece ancora di nicchia la sigaretta elettronica, dopo il boom degli anni scorsi. «Può risultare efficace come sostegno per chi vuole abbandonare il fumo», spiega Marco Alloisio. «A oggi, non ci sono dati che sottolineino controindicazioni dannose per la salute. L’unica incognita riguarda gli effetti del vapore inalato e i danni potenziali da benzene e nicotina». In realtà solo l’11 per cento dei consumatori abituali di sigarette elettroniche ha realmente smesso di fumare.
QUELLI CHE HANNO IL FIATO CORTO
Salire le scale è uno sforzo enorme, per una fetta di popolazione che oggi si attesta attorno al 7 per cento: la mancanza di respiro costituisce un ostacolo, infatti, per chi è affetto da brocnopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), una malattia strettamente legata al fumo. Lo spiega in un’intervista Stefano Centanni, direttore dell’Unità operativa di pneumologia dell’Azienda ospedaliera San Paolo di Milano: «L’80 per cento dei pazienti con Bpco sono o sono stati fumatori. Purtroppo però chi fuma è abituato ad avere “fiato corto”, tosse e catarro, e così tarda a farsi visitare». Anche perché sa bene che il medico gli suggerirebbe di buttar via le sigarette: una verità che generalmente non vuole sentire. «Questa è una patologia purtroppo anche mortale contro la quale la prevenzione può fare molto».