L'abbiamo vista negli scatti di un fotografo della Reuters.
Ci siamo stupiti e indignati, quasi increduli di fronte al drammatico
paradosso delle immagini: lei, capelli neri, abito rosso e borsetta
bianca, ragazza inerme di fronte alla brutalità di un agente di polizia
che le scarica addosso un gas lacrimogeno, a Gezi Park, a Istanbul, dove
l'ondata di proteste contro il Governo turco ha avuto origine. Lei, la
ragazza in rosso, si chiama Ceyda Sungar, ha un Master in progettazione
urbanistica. Ed è diventata l'icona della rivolta delle donne turche per
appropriarsi della loro dignità, per conquistare finalmente la parità
dei diritti.
Le donne sono le protagoniste di quella che molti hanno battezzato la "primavera turca".
Donne che non ci stanno più ad accettare la mancanza di pari
opportunità e la discriminazione strisciante in una società ancora
maschilista. Le donne di Istanbul, Ankara, Smirne e altre città scendono
per le strade e sfidano le forze dell’ordine, levano la loro voce con
fermezza e coraggio. La protesta contro il piano di abbattere Gezi
Park, l'ultimo polmone verde ddella megalopoli, per lasciare spazio a un
nuovo progetto urbanistico, è stata solo la scusa iniziale per
innescare la miccia, la goccia che ha fatto traboccare un vaso di frustrazioni e di malcontento già colmo fino all’orlo.
Solo qualche mese fa il premier Recep Tayyip Erdogan aveva lanciato un
appello alle donne turche a fare almeno tre figli – lui e sua moglie ne
hanno quattro – per dare nuovo impulso alla nazione turca. Ma, aldilà
dei proclami del premier – accusato di avere dato un'impostazione
autoritaria e conservatrice al suo Governo e di voler confinare la donna
tra le pareti domestiche limitandola al ruolo di moglie e madre –, la "questione femminile" in Turchia è radicata e longeva.
Ataturk, il padre della Turchia laica e moderna, aveva dato grande
impulso all'emancipazione della popolazione femminile: le turche hanno
ottenuto il diritto di votare a livello nazionale nel 1934. Ma
attualmente quelle impegnate in politica sono molte di meno rispetto ad
alcuni decenni fa. E fino a oggi la legge ha sempre vietato che le donne
in Parlamento indossassero i pantaloni.
La violenza domestica è una piaga endemica: il ministro della Famiglia Fatma Sahin, unica donna nel Governo Erdogan, ha dichiarato che dal 2009 al 2012 666 donne sono state uccise da mariti o familiari. Ma,
secondo varie Ong, sarebbero in realtà ancora di più, perché moltissimi
casi vengono tenuti nascosti dalle famiglie. Secondo un rapporto
dell’Onu, il 39% delle donne turche ha subìto una forma di violenza fisica
nella sua vita. Dal 2008 i reati di natura sessuale denunciati sono
aumentati del 400%. Con molta probabilità il forte aumento delle cifre è
legato al fatto che negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza
delle donne e la loro volontà di denunciare, grazie anche all’avvio di
programmi per educarle ai loro diritti. Se nelle grandi città come
Istanbul la situazione è decisamente migliore, nelle regioni orientali
del Paese, nelle zone più povere, nei villaggi e nelle piccole comunità
fortemente tradizionaliste la condizione femminile è ancora
drammaticamente arretrata: la legge turca stabilisce che per contrarre il matrimonio bisogna essere maggiorenni.
Ma nelle regioni più isolate del Paese, lontane anni luce da Istanbul e
Ankara, il fenomeno delle spose-bambine è difficile da arginare, così
come l'imposizione del marito a una ragazza da parte della famiglia e il delitto d'onore. Nel 2004 il Codice penale turco ha definito reato la violenza sessuale. Ma la strada da percorrere è ancora lunga.
«In Turchia le donne sono discriminate nel mondo professionale così come da un punto di vista sociale e familiare. Abbiamo una società paternalistica. Le donne lavorano duramente nelle zone urbane e nelle campagne, ma economicamente non raggiungono i livelli dei loro mariti, padri e fratelli.
Non sono retribuite allo stesso modo. Le donne turche sono enormemente
produttive, lavorano sodo e si danno molto da fare in ogni aspetto della
vita”. Beyza Aksoy ha 33 anni e vive a Istanbul, dove
lavora come analista finanziaria per una banca. «Nelle proteste le donne
sono state capaci di assumere ruoli di leadership», spiega Beyza.
«Nelle manifestazioni si sono riunite donne di diversi contesti
ideologici e sociali, di età differenti, e tutte partecipano nei modi
più vari: alcune portano cibo agli attivisti, altre coltivano piante in
un orto che i manifestanti hanno creato nei giorni scorsi a Gezi Park,
raccolgono e forniscono libri per la biblioteca, un’altra recente
innovazione dei manifestanti . Altre ancora prestano assistenza ai feriti in piccole infermerie di fortuna. Molte stanno guidando le rivolte».
E aggiunge: «In Turchia Internet è largamente diffuso, viviamo in un
mondo globale in rapido cambiamento. Penso che le donne turche debbano
guardare al mondo, non solo all'Europa. Sono abbastanza intelligenti da
trovare la loro strada, una volta che non saranno più represse».
Dopo la laurea in Economia a Istanbul, Beyza ha seguito un Master in
Economia finanziaria. Gli studi l'hanno portata per un anno a Roma,
nell'ambito del Progetto Erasmus. «Che siano radicali o di sinistra, i
turchi sono in maggioranza musulmani», osserva. «Le proteste non sono iniziate per paura della reislamizzazione.
Il motivo principale è stato la forza eccessiva usata dalla polizia per
reprimere le proteste. Anche se i media specialmente nei primi giorni
non hanno dato copertura alle rivolte, le persone potevano comunicare
attraverso i social network, le notizie delle violenze si sono rapidamente diffuse nel Paese
e in tanti hanno deciso di fare qualcosa per fermare questa
ingiustizia. Penso che sia una caratteristica dei turchi, quella di
voler aiutare le persone in difficoltà. Quando guardo ai manifestanti di
Gezi Park non posso non riconoscere la grande solidarietà della gente. E' incredibile. Credo che questo non sarebbe potuto succedere in Europa».