Io e Barbara abbiamo camminato 9 giorni da Santo Domingo de la Calzada a Leon. È il secondo tratto del cammino di Santiago, quello che attraversa le mesetas. La scorsa estate, Barbara aveva già camminato il primo tratto, mentre io con tre dei nostri quattro figli avevo organizzato in altro modo una settimana di vacanza. A me piace camminare, ma non mi sono mai messo nelle condizioni di fare una vacanza completamente basata sul muoversi a piedi, di paese in paese. Quest’anno, in cui celebriamo il nostro 25esimo di matrimonio, le ho proposto di condividere un tratto di cammino di Santiago, partendo dal punto in cui lei l’aveva interrotto l’anno scorso.
Così siamo partiti: zaino in spalla, davanti a noi 250 km da percorrere in 8 giorni. Non mi spaventa la fatica e sapevo che per lei questo sarebbe stato il dono più gradito. I primi giorni sono stati entusiasmanti. Paesaggi bellissimi, incontri con altri pellegrini, una sensazione di contatto con se stessi e con la natura difficile da provare altrimenti, in modo così continuativo e profondo. Poi sono comparse le vesciche ai piedi: la cosa più temuta dai camminatori, insieme alla tendinite. Non le avevo messe in conto, anche perché avevo fatto molta attenzione alla scelta delle scarpe, testate su lunghi percorsi prima di partire. Dal quinto giorno, il cammino è stato anche dolore fisico. Incredibile pensare come una cosa apparentemente così piccola e insignificante come una vescica al piede possa, a ogni passo, farsi sentire in modo così trafiggente. Per due giorni il dolore è stato molto intenso ma tollerabile. Poi è diventato quasi insopportabile. Ho dovuto camminare lentamente, molto lentamente. Avrei potuto muovermi con i mezzi pubblici e aspettare Barbara all’arrivo. Ma ci tenevo tantissimo a fare, passo dopo passo, tutto il percorso insieme. E ho riflettuto a lungo sul fatto che quel pezzo di cammino così faticoso e inaspettato rappresentava la migliore metafora di tutto ciò che nella nostra storia d’amore insieme, era avvenuto contro ogni nostra aspettativa.
Dolori che non avevamo scelto, imprevisti che a volte hanno fatto precipitare molte cose al di là di ogni nostra previsione, vacanze estive – tanto desiderate – annullate un giorno prima della partenza per la malattia di un bambino, notti trascorse in ospedale per prendersi cura di un famigliare ammalato. Quante cose accadono nella vita, senza che tu le abbia volute, immaginate, desiderate? Dentro a tutte le difficoltà della vita, ho sempre sentito che l’Amore – quella cosa che ogni giorno si generava nella relazione tra me e Barbara - ci permetteva di attraversare ogni sfida. Magari ci trovavamo stanchi, delusi, frustrati, arrabbiati, impotenti. Ma mai soli. Anche negli ultimi giorni del nostro breve cammino “il dolore non ha mai cancellato l’Amore, anche se l’Amore non era in grado di cancellare il dolore”. So che mettere una frase così grande dentro un’esperienza così piccola potrebbe addirittura apparire blasfemo. Ma è stato proprio così. Ribadisco un concetto che troppe volte sento bistrattato, quando si parla d’amore. Ovvero: che la parola sacrificio non può essere compagna della parola Amore. Io invece penso che le due parole vadano spesso insieme: perché sacrificio non vuol dire perdersi e limitarsi, ma l’esatto contrario: ovvero “fare sacro”, andare al di là dei propri limiti. In qualche modo posso dire grazie alle mie vesciche ai piedi, del cammino di Santiago. Se sono arrivato in fondo ai 250 km previsti, è perché ho saputo dare loro un significato. Senza maledirle. Anche se mai le avrei scelte e volute.
Perché scrivo cose così private, un po' in controtendenza rispetto a come gestisco solitamente la mia pagine? Penso davvero che “amarsi è appartenersi”. Le molte polemiche generate da un mio precedente post di qualche giorno fa dedicato all’amore stabile (che io non considero uno dei tanti orientamenti relazionali possibili, ma un bisogno profondo che gli esseri umani hanno) oggi le affronto con questo piccolo pezzetto della mia storia di vita. Di cui sono grato e consapevole, convinto e testimone. Amarsi è appartenersi: non lo dico tanto per. Lo dico perché lo vivo. E ringrazio Barbara, per condividere tutto questo con me.