Riccardo Muti durante il concerto a Jerash (foto Zani-Casadio)
Un Maestro italiano acclamato in tutto il mondo, l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini formata da ragazze e ragazzi italiani e integrata da nove musicisti giordani del Conservatorio Nazionale di Amman, il Coro Cremona Antiqua, un soprano cubano-americano, un controtenore fiorentino, due solisti di canto e due musicisti siriani della diaspora, due cantanti giordani. Fra il 7 e l’11 luglio Occidente e Oriente hanno dialogato e si sono incontrati, prima sul palcoscenico del Palazzo Mauro De André di Ravenna, poi nel Teatro romano di Jerash, in Giordania, e infine nel Teatro Grande dell’antica Pompei. Un dialogo di artisti e di capolavori musicali: il II atto da Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck, l’aria “Casta diva” dalla Norma di Vincenzo Bellini, il Canto del destino (Das Schicksalslied) di Johannes Brahms. Musiche di compositori tedeschi e di un siciliano che nel programma si intrecciano con i canti tradizionali del mondo arabo.
L’esperienza di ascolto, che a prima vista potrebbe disorientare, è suggestiva e ha un suo senso compiuto, come sempre accade con “Le vie dell’Amicizia”, il progetto del Ravenna Festival che dal 1997 porta Riccardo Muti a eseguire concerti in luoghi che hanno fatto la storia (come Jerash e Pompei quest’anno), in luoghi densi di spiritualità (come Lourdes e Loreto nel 2022), oppure in città ferite come Sarajevo (nel 1997, il primo concerto della serie).
Riccardo Muti ricorda che i musicisti, “non parlando lo stesso linguaggio, ma sedendo l’uno accanto all’altro esprimono le stesse emozioni, lo stesso amore per le qualità umane. La musica unisce le persone, è sempre stato così”.
Come nota il musicologo Guido Barbieri, nei brani di Gluck, Bellini e Brahms “pesa la dimensione soffocante del fato”. A Orfeo, perduta negli inferi la sua Euridice, “spetta il compito della persuasione nei confronti delle divinità infere”. Così il controtenore Filippo Mineccia implora “Deh placatevi con me, furie, larve, ombre sdegnose!”. A Norma, interpretata da Monica Conesa il fato “ha assegnato il compito ingrato della veggente, della profetessa, della vaticinatrice. Insomma la dura incombenza di dare voce agli oscuri decreti degli dèi”. Infine Brahms “salda la frattura tra l’universo astratto degli dei e quello concreto degli uomini”. Dopo Bellini e prima di Brahms, Riccardo Muti lascia spazio ai suoni e alle voci del mondo arabo. Alcune parti dell’orchestra (in particolare i musicisti giordani) accompagnano il percussionista Elias Aboud (siriano, ma berlinese di adozione) e il suonatore di oud Saleh Katbeh (anche lui un siriano ora residente in Germania) in tre brani affidati alle voci di cantanti siriani e giordani. Mirna Kassis e Razek-Françoid Bitar duettano nella struggente canzone “I dimenticati sulle rive dell’Eufrate”, un brano composto dalla siriana Dima Orsho (48 anni) sul testo di un’antica poesia siriana della tradizione di Jazeera, fra il Tigri e l’Eufrate. La giordana Zain Awad esegue con passione “Raccontami del tuo paese”, una canzone dedicata ala nostalgia dell’esilio composta dai fratelli libanesi Assi e Mansour Rahabani. Infine il tenore giordano Ady Naber (già interprete di vari ruoli nel teatro lirico) ha eseguito il canto tradizionale “Mamma Bada Yatahanna” (Apparve fluttuante)
Il programma ha debuttato il 7 luglio a Ravenna, davanti al pubblico delle grandi occasioni. L’evento è stato realizzato grazie al sostegno de La Cassa di Ravenna Spa e della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna. Tra gli ospiti, il presidente dell’Abi e della Cassa di Risparmio di Ravenna, Antonio Patuelli; il presidente della Fieg Andrea Riffeser Monti; il senatore Pier Ferdinando Casini; l’arcivescovo di Ravenna, Lorenzo Ghizzoni. In apertura sono stasti eseguiti gli inni nazionali giordano e italiano, alla fine nessun bis. Muti fa “ciao ciao” con la mano, i “Cherubini” si abbracciano, non si può fare tardi perché la mattina dopo si parte molto presto in direzione di Amman.
La capitale giordana accoglie la spedizione del Ravenna Festival con una temperatura più fresca rispetto all’Italia, ed è un piacevole sollievo. Nelle strade di Amman, una metropoli di oltre 4 milioni di abitanti, sono ancora numerose le immagini dei sorridenti Al Hussein bin Abdullah, principe ereditario di Giordania, e la giovane saudita Rajwa Al Saif, uniti in matrimonio il 1° giugno scorso. Un “royal wedding” celebrato con grande sfarzo presso il Palazzo Zahran. Nelle strade e all’interno di molti edifici spiccano i ritratti del passato, del presente e del futuro della dinastia hashemita regnante di questo Paese: re Hussein (sovrano dal 1952 al 1999), suo figlio Abdullah II (sul trono dal 1999) e il ventinovenne principe ereditario Hussein. Poco dopo l’arrivo ad Amman, il maestro Muti, sua moglie Cristina, i dirigenti del Ravenna Festival, alcuni musicisti della “Cherubini” e i giornalisti al seguito si sono spostati al Campo profughi di Za’atari. Gestito dall’UNHCR (l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati), il Campo ospita circa 80 mila siriani e alcuni di loro sono musicisti amatoriali. Muti li ha incontrati donando loro anche alcuni strumenti musicali. Il nostro reportage dal campo sarò pubblicato sull’edizione cartacea di Famiglia Cristiana.
Dopo un pranzo con la ministra della cultura Haifa Najar, il ministro del turismo Makram Al Queisi e l’ambasciatore italiano Luciano Pezzotti, la sera del 9 luglio Riccardo Muti porta “Le vie dell’Amicizia” a Jerash, l’antica città che i romani chiamarono Gerasa,. A poco più di un’ora di automobile da Amman, la città di Jerash vanta un’antica ed ininterrotta occupazione di insediamenti umani da oltre 6.500 anni. Nascosta per secoli nella sabbia del deserto, Jerash è stata scavata e riportata ala luce negli ultimi 70 anni. I resti della città romana sono imponenti. Spiccano la strada colonnata, l’Arco di Adriano, il Ninfeo, l’Ippodromo, i due teatri. Il concerto si svolge all’interno del Teatro Sud, costruito fra il 90 e il 92 dopo Cristo, durante il regno dell’imperatore Domiziano. Un edificio molto apprezzato per la sua acustica.
Sulle gradinate si radunano le autorità (i due ministri, ambasciatore italiano, il nunzio apostolico Giovanni Pietro Dal Toso) e un folto pubblico. Spicca la vivacità e l’allegria dei parenti della cantante Zain Awad, guidati dalla madre. Quando le chiedo se canta anche lei, la signora indica la sigaretta che tiene in mano e dice che quella è la sua risposta: no. Il pubblico applaude spesso, riprende il concerto con i telefonini. Il mio vicino canticchia dondolandosi tutto il brano eseguito dall’altro cantante giordano, Ady Naber, una delle canzoni classiche più amate e conosciute nel mondo arabo. Ogni tanto si crea un po’ di scompiglio per la presenza di grossi millepiedi neri che si insinuano fra gli spettatori. Muti, di spalle alle tribune, non si scompone, invece Filippo Minaccia resta un po’ interdetto dall’agitazione del pubblico, ma è bravissimo e a non perdere mai la concentrazione . Il ministro del turismo richiama vistosamente un ragazzo che distribuisce bibite, mentre un orchestrale giordano intima a un fotografo di stare fermo. Piccoli inconvenienti che non turbano più di tanto il clima festoso della serata.
Alla fine del concerto la ministra Haifa Najr e il ministro Makram Al Queisi acclamano Muti mettendogli sulle spalle la bandiera giordana. Muti sorride felice, sembra quasi Lionel Messi dopo la vittoria ai mondiali in Qatar, quando l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani lo rivestì con l’elegante tunica tradizionale. Un gesto che riveste un grande significato. D’altra parte Muti ha conquistato i giordani non solo scegliendo Jerash com meta del suo viaggio. Prendendo il microfono, il Maestro esprime l’ammirazione per “questo grande Paese” e “questo grande popolo per quello che sta facendo a livello umanitario per aiutare le persone che soffrono e che fuggono dai conflitti”. Un esempio, secondo Muti,che dovrebbero seguire altri Paesi nel mondo.
Il 10 mattina la carovana del Ravenna Festival riparte per l’Italia. Destinazione Pompei, sede dell’ultimo concerto. Anche qui “Le vie dell’Amicizia” approda a un teatro antico, il Teatro Grande della città sepolta dalla pietra pomice e dalle ceneri del Vesuvio nel 79 dopo Cristo. “La forma comune dei due teatri di Jerash e Pompei non è casuale: è il risultato di un processo di integrazione, reso possibile da una rete di rapporti e scambi all’interno dell’Impero romano, che portò la cultura dello spettacolo in tutto il Mediterraneo”, osserva Gabriel Zuchtriegel, Direttore del Parco Archeologico di Pompei.
In una serata rovente il pubblico smuove l’aria con i ventagli e i programmi del concerto. Gli uomini si tolgono le giacche. Rimangono in giacca blu e con la cravatta al collo le autorità, come il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. C’è anche chi gli chiede un selfie e il ministro acconsente con un sorriso. Quando si comincia, alle 21:30, il termometro concede finalmente un po’ di sollievo. Buona parte del pubblico non si rende conto che il primo brano eseguito e l’Inno giordano, poi finalmente si alzano tutti in piedi. Il concerto si chiude alle 23, con tutti gli artisti schierati davanti all’orchestra a raccogliere gli applausi del pubblico. Muti lascia la ribalta a loro, resta di lato, qualche passo indietro. Ringrazia il pubblico con brevi inchini e poi si allontana. Un gesto di umiltà nel rispetto della musica e dello spirito che anima le “vie dell’Amicizia”.