E’ stata sicuramente la
testimonianza sulla Siria a scuotere le coscienze dei circa 3.000
partecipanti alla 45esima marcia per la pace a Lecce, nella notte di Capodanno. Eravamo in tanti, credenti e non credenti, con un
messaggio anche degli ortodossi, dei metodisti e il saluto del
rappresentante della comunità islamica a metterci incammino per dire
che un altro mondo è possibile. Che è possibile guardare al futuro
con speranza, puntando sulla vita delle persone, cambiando un sistema
economico finanziario che fa del profitto il vero ‘dio’, l’idolo
a cui sacrificare la vita di tante persone.
E così, con le fiaccole
accese a ricordare la ‘lampàra’ di don Tonino Bello, nella sua
terra salentina ci siamo messi in cammino, perché la pace è
cammino. Iniziare un nuovo anno pregando e riflettendo sulla pace non
è per chiudere velocemente l’argomento, come una tassa da pagare e
poi non ci si pensa più per tutto l’anno. E’ stato Pax Christi a
promuovere la prima marcia per la pace nella notte di Capodanno, per
raccogliere e valorizzare la profetica intuizione di Paolo VI di
vivere il primo giorno dell’anno come Giornata Mondiale della Pace.
Poi, si sono affiancati, in stretta collaborazione la Conferenza episcopale italiana (Cei), la Caritas e
l’Azione Cattolica oltre, ovviamente, alla diocesi ospitante.
Una lunga fiaccolata per
le vie di Lecce con alcune tappe per ascoltare testimonianze e
riflessioni, dai conflitti dimenticati (ce ne sono ben 388 in corso e
21 di questi sono molto cruenti), al ricordo di Tonino Bello a 20
dalla morte, un vescovo plasmato dal Concilio; alla Pacem in terris,
l’enciclica sempre attuale, che nel 2013 compie 50 anni. Al
ricordo della marcia dei 500 a Sarajevo 20 anni fa, ai conflitti di
oggi. E in un silenzio segnato da preoccupazione e, forse, impotenza,
è stata proprio la testimonianza di padre Paolo Dall’Oglio, che ha
vissuto in Siria, nel monastero di Mar Musa a toccare tutti i
partecipanti. Nella tavola rotonda moderata da Rosa Siciliano,
direttore di Mosaico di pace, la voce di padre Paolo rilanciava il grido
dei giovani siriani, di uno scandaloso e inaudito massacro che si sta
compiendo con una scandalosa assenza della comunità internazionale
colpevole di omissione di soccorso. «Perché - si è chiesto padre Paolo - non promuove in Italia una azione nonviolenta che vada
in quella terra siriana, insanguinata e massacrata, per evitare che
diventi un vero e proprio genocidio?».
Un centinaio i sacerdoti che hanno partecipato. Una decina i vescovi presenti, tra cui monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e già presidente di Pax Christi, che ha raccolto molta simpatia e applausi perché, come ha detto lui stesso, «ho avuto la gioia e la fortuna di vivere tutte le 45 marce della pace». E mentre si ritorna verso casa, dopo la mezzanotte, le strade risuonano di botti anche molto fragorosi… Come non pensare a chi in altre parti del mondo, quei botti li sente, ma sa che non sono per salutare un nuovo anno, giacché sono bombe sparate da mortai, raffiche di mitragliatrici, colpi di fucili. Il rumore è lo stesso, le conseguenze sono diverse e ben più tragiche. I botti casalinghi fanno notizia, i combattimenti veri e propri, con tanto di morti e feriti no.
Chissà… forse perché sono le industri belliche aiutano a far crescere il Pil, oppure perché alla guerra si rischia di fare l’abitudine. Se fosse così sarebbe davvero un brutto inizia d’anno. Ma a Lecce eravamo in molti desiderosi di non rassegnarci, desiderosi di credere che la pace va perseguita con ostinazione, desiderosi di credere che sono beati quelli che fanno la pace e non quelli che fanno la guerra. «Le cose cambieranno - ci ricordava 20 anni fa don Tonino Bello al porto di Ancona al ritorno da Sarajevo – se i poveri lo vorranno».