“Parlando di "sacralità del lavoro" e di "mercato divinizzato" il Papa fa ovviamente un discorso teologico, ma si inserisce in un dibattito economico attualissimo”. Luigino Bruni, docente di economia alla Lumsa di Roma, e autore di Le imprese del Patriarca - Mercato, denaro e relazioni umane nel libro della Genesi (edizioni Dehoniane) ha ascoltato con attenzione le parole pronunciate da papa Francesco all’udienza del mercoledì. Da studioso di economia ma anche della Scrittura.
Partiamo dal dato teologico: il lavoro - ha ripetuto il Papa- è sacro perché rende l’uomo a immagine di Dio.
È Il dato fondante di tutto il suo discorso. Un dato saliente non soltanto di questa udienza ma dell’intero pontificato. Il lavoro, dice il Papa, rende l’uomo simile al suo creatore perché lavorare è per l’uomo modificare, creare. È questa esperienza che lo rende “a immagine di Dio”. Ma questo si porta dietro una conseguenza economica molto importante. Che ha a che fare con la “divinizzazione del mercato” di cui parla Francesco.
Qual è il nesso?
Per la prima volta nella storia siamo di fronte a un aumento della ricchezza, ma a una distruzione del lavoro. Si diffonde una ricchezza di tipo finanziario, speculativa. Questo cambia radicalmente tutto. Viene a cadere la legittimazione stessa del capitalismo che è stata tradizionalmente questa: il mercato produce lavoro, e la ricchezza viene redistribuita dal lavoro che il mercato ha creato. Oggi non è più così. Il “mercato divinizzato” di cui parla il Papa è questo: un mercato che distrugge lavoro e produce una ricchezza che non viene equamente distribuita.
Quando il Papa parla di "mercato divinizzato" si rivolge a ciascuno di noi, ma innanzitutto a chi ha in mano le leve del governo…
Certamente si. Si colloca su un filone di pensiero che non è ostile di per sé al mercato, ma ne avverte tutti i limiti. Non basta lasciare “libero gioco” a domanda e offerta. Perché questo - ormai lo abbiamo capito - crea più diseguaglianza che ricchezza. Occorrono politiche pubbliche, politiche per il lavoro, insomma seve un intervento dello Stato sul mercato perché questo generi oltre che efficienza anche uguaglianza. Non è un caso che nei Paesi più avanzati come la Germania o la Francia la mano pubblica sull’economia sia molto forte. Da questo punto di vista l’Italia sembra un passo indietro: le riforme che intravediamo o che in parte sono già attuate vanno nella direzione di liberare il mercato da ogni tipo di vincolo nella certezza che questo basti. Ma è una visione un po’ arretrata. C’è poi un ulteriore elemento di attualità in quanto dice oggi il Papa.
Quale?
Se il lavoro è ciò che rende l’uomo a immagine di Dio, non basta semplicemente dotare l’uomo di un reddito. Non è sufficiente sposare la visione della “società dei due terzi”, secondo la quale è basta lasciare lavorare i più efficienti, appunto i due terzi della società, e qualcosa della torta prodotta arriverà anche sulla tavola degli altri. È una visione che confligge alla radice con la stessa antropologia cristiana. Qui non si tratta di dare una fettina di torta a qualcuno, ma di consentire a ogni uomo di assomigliare al suo creatore. E’ il lavoro quello che fonda l’uomo come creatura, non il salario. Non si tratta di dare un reddito di cittadinanza a tutti, ma un lavoro a tutti. Ogni cosa diversa da questa è mortificante sul piano teologico oltre che economico.
Il Papa ha anche citato l’enciclica Laudato si’ per dire che lavoro e ambiente possono anzi devono andare a braccetto.
C’è un verbo della Genesi che a me pare illuminante a riguardo. E’ Shamar, che significa custodire. La Scrittura lo usa al capitolo 1 quando Dio parla del giardino che è stato dato all’uomo perché lo custodisca (Shamar); e al capitolo 4 quando Caino afferma: “non sono io a dovere custodire (shamar) mio fratello”. E’ come se la Parola ci dicesse che la custodia è una sola: occuparsi del fratello e della natura insieme. Se le due cose non vanno a braccetto, se il lavoro viola l’ambiente, l’uomo diventa un omicida. Pensa se stesso come un idolo, padrone assoluto di qualcosa che non gli appartiene. Il Papa, da amante della chimica e dunque della natura, sente molto questa consonanza. La custodia è una sola: o è insieme custodia della terra che ci è data in affidamento e del fratello che ci è stato affidato, oppure non è. Custodire il fratello vuol dire preservare l’ambiente in cui vive ciascuno di noi. Lavorando senza turbarne l’armonia.