In questo periodo si sta letteralmente scatenando ovunque il dibattito sul come fare prevenzione rispetto all’affettività violenta e tossica, soprattutto del maschio verso la femmina. I femminicidi efferati degli ultimi giorni ci lasciano attoniti e sgomenti. Da più parti si mette in risalto un unico tema: l’urgenza dell’educazione all’affettività nelle scuole. Ma è davvero questo il focus più adeguato alla prevenzione? Si può davvero pensare che fare attività e approfondimenti a scuola sull’affettività e la sessualità sia la soluzione?
Anche l'Unesco sottolinea l'importanza dell’educazione affettiva e sessuale in quanto diritto alla salute e al fine di realizzare il pieno rispetto dei diritti umani e favorire l'uguaglianza di genere. Il valore attribuito all’educazione affettivo-sessuale è sicuramente innegabile. Sentiamo continuamente l’accusa al sistema scolastico italiano per essere fanalino di coda rispetto all’introduzione di questa “materia” a scuola. Eppure i numeri non parlano di una diminuzione significativa dei femminicidi in altri Paesi europei, compresa l’esemplare Svezia, dove si fa educazione affettivo-sessuale a scuola da anni.
Attenzione, allora, a non fare ragionamenti fallaci. L’educazione affettivo-sessuale serve in primo luogo per promuovere la cultura del consenso, della parità di genere, dei comportamenti sessuali responsabili, del rispetto del maschile e del femminile. Previene il femminicidio? I dati, come detto, non lo dimostrano. Ci raccontiamo, forse, una bella favola se pensiamo di risolvere il problema delegando (come sempre) tutto alla scuola. La scuola crea cultura, ispira sicuramente le giovani menti. I grandi classici, ad esempio, non sono forse una meravigliosa fonte di approfondimento e condivisione della complessità degli affetti, delle relazioni, delle emozioni? Riflettere con Petrarca sulla dipendenza affettiva o lo struggimento amoroso, non è forse già educazione al dare parole al sentire? Già questo è prevenzione: saper dare nome e forma al proprio sentire, sublimare con l’arte e la creatività il proprio dolore. La letteratura già umanizza. E la scuola deve sentirsi investita soprattutto di questo compito, quello di umanizzare. Quindi, sì, sicuramente protagonista, ma non solo e non tanto con l’educazione affettivo-sessuale.
Proviamo a pensare da quanti anni facciamo, ad esempio, educazione nelle scuole contro il fumo. A quali risultati ha portato? È sicuramente un esempio banale, ma aiuta a capire che le radici del comportamento umano hanno spiegazioni molto più complesse e che l’educazione fatta a scuola (che, diciamolo, com’è vissuta dagli studenti? Per come è organizzata è spesso solo un super-io aggiuntivo, distante e giudicante. Irrealistico pretendere che una scuola così abbia molto ascendente sui nostri figli, salvo la possibilità di incontrare esempi virtuosi di professori che sanno farsi vicini, ispirare e fare da Pigmalioni.
Quindi, da dove ripartire con la riflessione? Lo sviluppo affettivo di ognuno di noi inizia molto presto. Il nostro stile relazionale ha, infatti, le sue radici nei primi anni di vita, anzi, nei primi mesi! La scienza ha ormai riconosciuto ampiamente la formazione dei circuiti neuronali legati all’empatia e alla regolazione delle emozioni a partire dalla nostra relazione di attaccamento con chi si prende cura di noi. In famiglia, quindi, si formano gli stili relazionali e le dinamiche profonde dei legami affettivi. Si assorbono, si respirano, si vivono. Ciò che siamo da adolescenti e da adulti è in gran parte dovuto all’ambiente familiare in cui siamo cresciuti. La cosiddetta tossicità o la dissociazione criminale dal sentire hanno a che fare con la storia della persona.
Nell’ultimo femminicidio di Ilaria Sula avvenuto a Terni (ma si potrebbe dire lo stesso di molti altri casi), si leggono questi aggettivi relativi all’omicida: freddo, insensibile, lucido, controllato. Pensiamo davvero che l’educazione a scuola modifichi il funzionamento mentale delle persone? Forse i più resteranno delusi, perché avere una soluzione a portata di mano è molto più rassicurante del continuare ad approfondire un tema così scottante e complesso, che arriva a mettere sotto i riflettori l’ambiente familiare. La mente relazionale (Siegel, 2013) si forma in famiglia. E attualmente la famiglia non si studia a sufficienza. Per ogni atto violento dovrebbe essere messo a sistema lo studio delle dinamiche familiari, dei traumi e della vita intera del responsabile. Solo così possiamo sperare di capirci qualcosa e iniziare a fare una scuola affettivo-sessuale, prima di tutto, per ogni neogenitore. Questa è vera prevenzione.