«Ci può essere una prudente sperimentazione all’interno della categoria della legalizzazione, non della liberalizzazione. Non si può pensare a un libero mercato, si può pensare a una legalizzazione di alcune sostanze, ma in un mercato molto controllato, molto vigilato, molto monitorato, molto protetto, perché siamo consapevoli dei rischi collegati». Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele e già consulente del ministero per le Politiche sociali proprio sul tema delle tossicodipendenze, interviene nel dibattito sulla liberalizzazione delle droghe leggere spiegando la complessità del fenomeno e le distorsioni prodotte finora dalla legge Fini-Giovanardi. «Mi riferisco soprattutto alla maggiorazione del danno che avviene con la carcerazione dei piccoli spacciatori/consumatori (a volte dipendenti, a volte solo consumatori), tendenzialmente in giovane età, che fanno l’esperienza del carcere. Un'esperienza che sappiamo inutile e dannosa. Sarebbe più importante, invece mettere in campo esperienze di accompagnamento e di cura. Quindi un primo punto sarebbe quello di insistere per la depenalizzazione piena del consumo con un superamento della legge Fini-Giovanardi».
Leopoldo Grosso richiama anche la riflessione dell'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc), che ha sede a Vienna, per dire che «in tutte le valutazioni in sedi istituzionali, compresa la stessa Vienna, si è concluso che siamo in una fase di post proibizionismo. Ormai si è preso atto che 20 anni di guerra alla droga non hanno portato, ahimé, a grandi risultati e quindi bisogna cercare di capire quali altri strategie sono utilmente perseguibili».
In altre parole, spiega l'esperto, «vanno sperimentate nuove strade a cominciare da quelle che presentano minor rischio. E una di quelle che presenta minor rischio sicuramente riguarda le droghe leggere. Credo che, intanto, bisogna reitrodurre la distinzione tra sostanze in base a quelle che fanno maggior danno e quelle che fanno danno, ma minore. Cioè reintrodurre la distinzione tra droghe leggere e pesanti e cercare di capire come agire sui due fronti. Per esempio sull’hashish e la marjuana sono proponibili ragionevoli e prudenti proposte di sperimentazione che in qualche modo facciano emergere il fenomeno, legalizzino alcune modalità di consumo. Ovviamente non per i minorenni, limitando ad alcune quantità, ad alcune sostanze, appunto hashish e marjuana, il cui principio attivo dovrebbe essere controllato e non deve superare certe soglie, limitando acnhe il consumo ad alcune aree ben precise».
Secondo Grosso questo permetterebbe di capire se si possono ottenere vantaggi su due fronti: «Il primo è quello dell’individuazione delle situazioni di consumo problematico dove, cioè, lo scopo del consumo non è solo ricreativo, ma ha anche funzione di autocura e, quindi, è finalizzato all’illusoria e momentanea soluzione di problemi che invece dovrebbero essere affrontati diversamente. Far emergere questi consumatori significherebbe, forse, avere più probabilità di approccio con le persone che fanno consumo problematico». Una seconda questione riguarda invece il narcotraffico: «Tutta la produzione e distribuzione di droghe leggere oggi è tendenzialmente, quasi dappertutto, illegale. Il fatto di portare questo mercato, almeno in parte, in un'economia legale avrebbe dei vantaggi e sarebbe un piccolo colpo contro il narcotraffico. Certo non ci si illuda di sconfiggerlo, non si è riusciti a debellare totalmente il traffico illegale neppure con il tabacco. Però sicuramente per il narcotraffico sarebbe un danno ed eviterebbe anche che chi consuma sia fuorilegge».
Il vicepresidente del Gruppo Abele non nasconde che «questo terreno è sdrucciolevole e quindi, se da una parte ci possono essere vantaggi, dall’altra sono ben rappresentati i rischi di una legalizzazione di consumo. Sappiamo, per esempio, che l’alcol è legale, ma l’alcol legale comporta tutta una serie di problemi con un rischio principale che è quello dell'aumento della domanda. Questo rischio, però, dovrebbe essere contrastato con un investimento più forte delle risorse economiche, sia di quelle risparmiate che di quelle introiettate con la legalizzazione della vendita. Risorse da investire in campagne di prevenzione rispetto al consumo e soprattutto per fortificare la scelta di chi decide di non consumare. Per gli altri ci deve essere un’educazione a un consumo limitato, consapevole e prudente, magari all’interno di locali di consumo dove il ragazzo può essere più raggiungibile».
Non una generale apertura, dunque, ma «una prudente, prudentissima sperimentazione».