«È il dramma più totale» Non trova parole per descrivere quanto è successo nel centro Italia Rossella Muroni, presidente di Legambiente Italia. «Un terremoto che ha le dimensioni di ciò che capitò all’Aquila, ma una conformazione particolare perché fatta di borghi e tante frazioni. È il cuore dell’Italia che è stato colpito, il tessuto dell’Italia che meglio rappresenta come è fatto il nostro Paese. Quei borghi che tanto amiamo, ma che se vogliamo mantenere vivi devono essere sicuri».
Quali solo le urgenze?
«La messa in sicurezza degli edifici pubblici, delle scuole e degli ospedali. Ad Amatrice è crollata una scuola che nel 2012 era stata dichiarata antisismica, ovvero ristrutturata. E l’ospedale. Questo vuol dire che abbiamo problemi anche con la nuova edilizia. Per quanto riguarda la scuola, poi, non ho parole. In Italia solo il 10% ha un certificato antisismico, proprio in un Paese che stiamo imparando essere fragile e molto sollecitato. I geologi ce lo stanno dicendo in tutte le maniere. C’è in atto uno stiramento dell’Appennino e noi là sopra abbiamo case e comunità».
Ospedali, scuole e case?
«Certo, una mappatura dettagliata nelle zone di particolare rischio. Dopo l’Aquila è stato istituito un fondo di milioni di euro che non sono stati spesi e molti che sono stati spesi male. Le new town aquilane sono una delle pagine più brutte della storia italiana. Un’enorme operazione speculativa, che non ha risolto il problema di riportare la gente nelle proprie case, anche se molto è stato fatto. Devastando la comunità da un punto di vista sociale e delle proprie radici».
Rossella Muroni, presidente di Legambiente Italia
Aiutare la gente a mettere in sicurezza le proprie case?
«Certo. Chiediamo che nella finanziaria venga esteso l’ecobonus, la possibilità di detrarre dalle tasse al 65% i costi per le opere di messa in sicurezza delle abitazioni private dei cittadini che devono essere messi in condizione di accettare la situazione di rischio permanente. Infine chiediamo uno stop del consumo di suolo del nostro paese: non è costruendo nuove case che si fa ripartire l’edilizia, ma recuperando e mettendo in sicurezza le case che già esistono. Questo è il momento della lacrime per i corpi che stiamo estraendo, ma ci deve essere una risposta governativa che va fatta con grande lucidità. E bisogna pensarci subito».
Quindi messa in sicurezza e non nuove città. E poi?
«La garanzia che i fondi, le opere messe in atto e le ricostruzioni vengano fatte nella legalità. Evitiamo che la malavita ci faccia dei soldi. La drammaticità dell'evento ci ricorda, ancora, che l'Italia è un Paese fragile e a rischio sismico. Investire nella riqualificazione degli edifici per renderli sicuri non è più rimandabile. Le newtown sono state un terremoto nel terremoto; in uno shock del genere sono le radici che riescono a far ripartire la comunità. In sicurezza, certo ma non dentro a casermoni come all’Aquila, che hanno creato solo estraniazione e isolamento devastante. I piccoli borghi sono le comunità e dalle comunità bisogna ripartire. Perché sono garanzia di controllo e di trasparenza».
Una tragedia che è l’occasione per fare un salto culturale
«Abitare in case sicure è la prima azione di prevenzione perché non siamo in grado di dire agli italiani quando succederà un evento come il terremoto. Così il Vesuvio, un mostro dormiente. Lavorare sulla cultura di convivenza con il rischio e istruire le nuove generazioni perché apprezzino case più piccole ma più sicure. Questo è un vero cambiamento culturale. In un Paese come questo dove sull’abusivismo edilizio e la speculazione si sono costruite fortune economiche e politiche».
Come interpreta la generosità che arriva dall’estero?
«Da una parte l’Italia è conosciuta, amata e apprezzata dall’estero anche e proprio per questi borghi. Dall’altra, il mondo ha ancora di fronte il dramma dell’Aquila. 250 morti… L’amarezza maggiore è che in Paesi moderni come il Giappone scosse come questa non fanno 250 morti. Allora dico, lo ripeto, formiamo nuovi architetti e ingegneri con un’attenzione a questi temi e facciamo in modo che restino a lavorare nel nostro Paese».