Cari Lettori,
noi giornalisti della Periodici San Paolo abbiamo deciso di aderire alla mobilitazione indetta da oggi, 26 novembre, dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) contro la legge-bavaglio che, prevedendo il carcere per i giornalisti e multe fino a 50 mila euro per i direttori di testata, mina alla base il nostro diritto/dovere di informare e il diritto di essere informati dei cittadini, come previsto dalla nostra Costituzione. Pertanto facciamo nostra la posizione della Fnsi espressa nel comunicato che riportiamo di seguito.
Mobilitazione dei giornalisti da lunedì 26 novembre, contro una legge punitiva
per l’informazione dei cittadini, di chiara impronta incostituzionale
I giornalisti italiani hanno proclamato, a partire dal 26 novembre, la mobilitazione per protestare contro il progetto di legge sulla diffamazione, in discussione al Senato, che si va configurando come un disegno di aggressione a un’intera categoria professionale senza riparare eventuali lesioni della dignità e dell’onore delle persone per errori o orrori di stampa.
Si tratta di una protesta inevitabile dopo l’emendamento approvato oggi, in contrasto anche con il Governo che aveva opposto un suo no tecnico per l’incostituzionalità sostanziale di norme che modificano irritualmente il codice penale, le regole sulla stampa e non garantiscono equilibrio tra diritti costituzionalmente protetti: quello all’informazione indipendente e libera dovuta ai cittadini e la tutela della dignità delle persone. Con il carcere possibile solo per tutti i giornalisti italiani, alimentando differenze e disparità di attenzione, si crea un mostro giuridico che non risolve alcun problema di interesse pubblico. Di contro si realizza, con un atto di ingiustizia palese, una minaccia e una grave intimidazione che mortificano il giornalismo investigativo tutto, limitandone possibilità di ricerca e proposta di verità.
Per queste ragioni, per richiedere al Parlamento, in adesione piena ai principi costituzionali di convivenza, di bloccare questo disegno di legge insensata e brutale e perché sia riformata la legislazione sulla libertà dei cittadini e dei giornalisti, introducendo la rettifica documentata, vincolante e riparatrice, e il Giurì per la lealtà dell’informazione, i giornalisti sono chiamati alla mobilitazione a partire da lunedì 26 novembre.
Il Comitato di Redazione della Periodici San Paolo
Alberto Laggia
Luciano Scalettari
Annachiara Valle
La Federazione Nazionale della Stampa Italiana comunica
“La giornata dello sciopero differito, lunedì 26 novembre, dei giornalisti contro le inaccettabili proposte di legge che reintroducono il carcere per gli errori di stampa fatti dai cronisti, sarà l’occasione per una forma forte di protesta e mobilitazione. Dopo l’appello del Presidente del Senato a una riflessione sullo sciopero in questa fase del processo legislativo, e la dichiarata disponibilità della Federazione Editori per modalità condivise di protesta finalizzate a bloccare una pessima legge, lunedì ci sarà un impegno straordinario di tutto il mondo dell’informazione perché il Senato si fermi.
Al punto in cui è arrivata la proposta di legge è inemendabile. Tutta l’informazione italiana conferma e ribadirà ancora con più forza l’appello a tutti i senatori a recuperare la massima coerenza con l’ordinamento democratico della Repubblica, evitando di votare una legge ingiusta, iniqua, carica di elementi di rancore, inutile per la riparazione di danni da errori di stampa alla dignità dei cittadini; inefficace, infine, per evitare il carcere a un direttore condannato a 14 mesi. Al quale i proponenti, inizialmente, volevano evitare la galera. Il segnale della seconda carica dello Stato per le ragioni, per le proposte di tutti i giornalisti e per gli operatori dei media si trasformi in speculare riflessione dei membri del Senato.
Fnsi e Fieg stanno concordando un appello congiunto al Parlamento che verrà reso noto lunedì. La Federazione Nazionale della Stampa non ferma, perciò, la sua protesta. Proseguirà con molteplici azioni e iniziative, finché non sarà posto fine a un disegno che punisce il giornalismo investigativo, tutti i cronisti, tende a provocare l’oscuramento delle notizie scomode, propone solo propaganda e nessuna riparazione concreta ai cittadini eventualmente danneggiati nell’onore da errori di stampa. La giornata di lunedì renderà ancora più chiaro che tutto il mondo dell’informazione non si piega all’oscuramento delle verità, delle notizie di interesse pubblico, esaltando invece la funzione di controllo democratico dei poteri.
Nella stessa giornata, accanto a questo rinnovato e robusto impegno, si svolgerà a Roma un presidio, in Piazza del Pantheon dalle ore 19 alle 21, con fiaccole accese per indicare la luce contro ogni oscurantismo, per la dignità delle persone meno tutelate che non godono della ribalta dei riflettori, per indicare un impegno permanente per assicurare, con autonomia e responsabilità, il diritto a sapere, conoscere e affermare il pluralismo dell’informazione. La manifestazione è aperta a associazioni e cittadini. Analoghe iniziative si svolgeranno in diverse città d’Italia, dove le Associazioni Regionali di Stampa e i comitati di redazione avvieranno specifiche forme di partecipazione e coinvolgimento dei cittadini.
La Federazione Nazionale della Stampa Italiana conferma, comunque, che lo sciopero della categoria è solo differito. Sarà attuato immediatamente se tutti le azioni che via via hanno trovato nuove e importanti adesioni non dovessero trovare risposte appropriate nella sede istituzionale.
La storia del disegno di legge sulla diffamazione in discussione in Senato, meglio nota come legge Salva
Sallusti, ha davvero dell’incredibile ed è forse il colpo di coda più
avvelenato della casta che siede tra i banchi del Parlamento. La Federazione
degli editori e quella dei giornalisti, per una delle poche volte unite in un
appello congiunto, la definiscono
"una pessima legge che introduce norme assurde”.
Una legge che sembra carica di rancore, fatta da un
Parlamento di pasticcioni, che si propone di salvare i giornalisti dal carcere
(l’Italia è l’unico Paese al mondo, a parte i regimi tirannici e liberticidi a
prevedere questa barbarie) e che si ritrova col salvare solo i direttori,
peraltro mettendoli contro i giornalisti, che invece in galera ci vanno eccome.
Ma come è possibile che si sia arrivati a tutto questo? Basta
ricostruire quel che è accaduto in Parlamento.
Come è noto, tutto nasce per salvare dal carcere il
direttore del “Giornale”, Alessandro Sallusti, condannato a 14 mesi per un
articolo scritto da un suo giornalista mascherato dietro uno pseudonimo al tempo in cui
era direttore di Libero. Il proposito è sacrosanto. Come detto, solo nei Paesi
dove è abolita la libertà di pensiero i giornalisti vanno in galera (quando non
vengono ammazzati). In Italia ci sono solo due casi nella storia. Uno è Giovannino
Guareschi (che aveva insistito nell’accusare De Gasperi), l’altro è Lino
Jannuzzi (graziato dal presidente della Repubblica).
E così il Parlamento cerca di porre rimedio.
Il tempo stringe, perché ci sono
poche settimane per salvare il direttore del Giornale dalla detenzione. Anche i mass media si schierano contro il carcere. “Spero
che all’Italia venga risparmiata una simile ignominia”, commenta tra l’altro il
direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli.
I senatori Gasparri e Chiti firmano una proposta di legge molto semplice,
composta da tre articoli con una relazione introduttiva che recita più o meno
così: “Sallusti è stato condannato. Siccome la Corte europea di Strasburgo
prescrive che il carcere per i giornalisti non si deve mai applicare, bisogna
eliminare il carcere per tutti i giornalisti”.
Ma si sa, i parlamentari
vogliono partecipare all'elaborazione delle proposte di legge. I tre articoli si tirano dietro in commissione trecento
emendamenti e il progetto si incarta in un mare di lacci, lacciuoli,
precisazioni, diatribe giuridiche, commi e cavilli. I tre articoli
diventano un papello incoerente e confuso. E a un certo punto ricompare
persino il carcere. Lo propone l’ineffabile Lega
Nord. In base a non si sa quale finalità, ecco che torna la galera per
diffamazione aggravata, punibile fino a un anno di reclusione. Oltre
alla Lega,
aderiscono all’emendamento anche il Pdl e l’Api di Rutelli non si
capisce in
base a quali misteriose ragioni. A quel punto se il papello venisse
approvato Sallusti andrebbe inevitabilmente in
galera. E così i parlamentari si mettono di nuovo al lavoro, come degli
apprendisti stregoni del diritto, per evitare quest'eventualità. La
legge assomiglia sempre più a uno di quei mobili venuti storti che i
falegnami di second'ordine cercano di raddrizzare con chiodi e colpi di
martello (da cui il detto "roba da chiodi").
Spunta infatti un altro emendamento: prevede la multa
e non il carcere per il direttore che concorre nel reato di diffamazione aggravata.
E il giornalista? Se lo dimenticano. Per lui il carcere rimane. Con la nuova
legge tutte le volte che un giornalista diffama qualcuno gravemente, si vede
comminata la pena alternativa della multa o della reclusione (decide il giudice
a seconda della gravità del fatto). Invece il direttore responsabile ha
soltanto una multa e mai la reclusione. Anche se concorre col giornalista nel
reato. Persino se lo scrive a quattro mani con lui. Paga sempre una multa, non
andrà mai in carcere. Snaturando la natura del direttore responsabile, che
diventa meno responsabile del suo giornalista.
Tutto questo in deroga
all’articolo 3 della Costituzione ("tutti i cittadini sono eguali
davanti alla legge) e dell’articolo 110 del Codice penale (“tutti
i concorrenti dello stesso reato sono soggetti alla stessa pena”).
Insomma, si
parte per togliere il carcere ai giornalisti e si arriva al traguardo
levando
il carcere solo ai direttori. Giungendo al caso limite di un direttore
che ordina un
pezzo a un suo giornalista, viene condannato insieme a lui per omesso
controllo, riceve la stessa pena perché magari lo ha addirittura scritto
a quatro mani insieme con lui e concorre al reato, ma la scampa con una
multa. A differenza del suo redattore che invece finisce in manette,
come uno spacciatore o un ladro d'appartamento.
Molti parlamentari sostengono che l’eventualità che un
giornalista vada in carcere con questa legge è molto, molto remota. “E invece
non è vero”, spiega l’avvocato Caterina Malavenda, docente di diritto
dell’informazione e tra i massimi esperti della materia. “E’ un’eventualità
possibile se si realizza la diffamazione aggravata a mezzo stampa attraverso l’attribuzione
di un fatto determinato (per diffamare gravemente, recita la legge, serve una circostanza
specifica narrata nell'articolo). Se si viene querelati con questa contestazione, si rischia o la
multa o la reclusione fino a un anno (decide sempre il giudice) con sospensione
condizionale della pena. La prima volta però. Se se ne commette un’altra sei
mesi dopo, la sospensione condizionale viene revocata e le due pene
si cumulano. Quando si sono superati i due anni di
cumulo delle pene, anche a distanza di anni l'una dall'altra, bisogna espiarli. Fino a tre anni si va in affidamento in
prova, oltre i tre anni si va in carcere".
Per un giornalista la diffamazione è un
rischio "professionale", è sempre possibile (pensiamo ai cronisti giudiziari, ma non solo). In trent’anni di carriera – oppure
se si scrive un libro molto delicato giudiziariamente - può accadere benissimo di accumulare più di
una condanna e di superare i due anni. E quindi di finire in carcere.
Ecco perché editori
e giornalisti si augurano che questa legge assurda, fatta male e liberticida
venga cambiata in corsa al Senato. Non si tratta di spirito di consorteria, ma
di libertà di stampa. Quella che distingue tra una democrazia e un regime liberticida e dispotico.