Operazioni di ricerca e soccorso gravemente ostacolate, sofferenza prolungata dei migranti: sono sufficienti queste due motivazioni per spingere 5 delle maggiori Ong a chiedere alla Commissione europea di esaminare la nuova legge in materia di gestione dei flussi migratori (l. 24 febbraio 2023, n. 15), nota prima della sua conversione come “Decreto Ong”. Il reclamo, presentato a nome di Emergency, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), Medici Senza Frontiere, Oxfam Italia e SOS Humanity, prende di mira l’intervento normativo del ministro Piantedosi che, nel concreto, contrasta il lavoro di messa in sicurezza dei migranti a opera delle navi Ong. La nuova legge, con un codice di condotta ben preciso per quanto riguarda i salvataggi in mare da parte delle organizzazioni non governative, prevede che:
1) una volta prestato il primo soccorso, le imbarcazioni di dirigano immediatamente (e quindi, di fatto, senza poter fornire aiuto ad altre barche in difficoltà) verso il porto di sbarco a loro assegnato; un porto che, stando a una pratica ormai consolidata nel nostro Paese da dicembre 2022, è quasi sempre collocato nel centro o nel nord Italia, nonostante la maggioranza dei migranti arrivino nel sud del Mediterraneo;
2) le navi delle Ong siano conformi a requisiti tecnici e possiedano le certificazioni rilasciate dallo Stato di bandiera (ossia il Paese che attribuisce la propria nazionalità a un’imbarcazione); quest’obbligo, tuttavia, sottopone le navi a lunghe e ripetute ispezioni di sicurezza, che finiscono così per diminuire drasticamente i tempi per le operazioni.
«La legge colpisce le Ong, ma il prezzo più alto sarà pagato dalle persone in fuga attraverso il Mediterraneo che si ritroveranno su un’imbarcazione in difficoltà», afferma il responsabile delle operazioni di Medici Senza Frontiere, Djoen Besselink. Persone che, come spiega il coordinatore Life Support di Emergency Carlo Maisano, «provengono da Paesi colpiti da guerre, cambiamenti climatici e violazioni dei diritti umani, e spesso sono in condizioni di estrema fragilità, aggravate da altro tempo trascorso in mare».
Per le navi che non rispettano quanto stabilito dalla legge sono previste sanzioni, che possono andare da una multa salata (tra i 10 e i 50mila euro) al fermo amministrativo dell’imbarcazione, fino alla confisca nel caso in cui il mezzo violi le norme più volte. Dal giorno della sua entrata in vigore la normativa ha già condotto al fermo di cinque navi umanitarie, colpevoli di aver attraccato al porto più vicino e sicuro (anziché a quello assegnato) o di non aver fornito informazioni (mai chieste prima) alle autorità. «Ogni giorno trascorso lontano dalla zona di ricerca e soccorso, sia se sotto fermo sia se in navigazione verso un porto lontano, mette a rischio vite umane», aggiunge Besselink; senza contare che, dice il capitano della nave Humanity 1 di SOS Humanity, «assegnare luoghi sicuri a più di 1000 km di distanza dal luogo del soccorso danneggia il benessere fisico e psicologico dei sopravvissuti».
L’appello alla Commissione europea, allora, è un appello alla coscienza comune. «La Commissione, che è la custode dei trattati dell’UE e che garantisce che gli Stati membri rispettino il diritto internazionale e comunitario, dovrebbe sostenere e proteggere i diritti fondamentali di tutte le persone in Europa», dichiara Giulia Capitani, policy advisor su immigrazione e asilo di Oxfam Italia. «Invece di ostacolare il loro lavoro, le Ong andrebbero coinvolte nella creazione di un sistema adeguato di ricerca e soccorso in mare».
(Foto Reuters)