La vera spiritualità mariana rende attuale nella storia la tenerezza di Dio. Papa Leone presiede la messa in occasione del Giubileo della spiritualità mariana e spiega che la fede non va strumentalizzata e che al centro, come per Maria, deve sempre esserci Gesù. «”Ricordati di Gesù Cristo”: questo solo conta, questo fa la differenza tra le spiritualità umane e la via di Dio», dice il Pontefice. E sottolinea che non bisogna «svuotare il nome di Gesù della sua storia, della sua croce. Ciò che noi riteniamo eccessivo e crocifiggiamo, Dio lo risuscita perché “non può rinnegare sé stesso”. Gesù è la fedeltà di Dio, la fedeltà di Dio a sé stesso. Bisogna dunque che la domenica ci renda cristiani, riempia cioè della memoria incandescente di Gesù il sentire e il pensare, modificando il nostro vivere insieme, il nostro abitare la terra. Ogni spiritualità cristiana si sviluppa da questo fuoco e contribuisce a renderlo più vivo».

Spiega la guarigione di Naamàn, il Siro, e il commento che ne fece Gesù nella sinagoga di Nazaret. La sua interpretazione, per i presenti, fu di scandalo. «Dire che Dio aveva salvato quello straniero malato di lebbra piuttosto che quelli che c’erano in Israele scatenò una reazione generale: “Tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù”». La parola di Gesù. Come aveva preannunciato l’anziano Simeone a Maria, è tagliente perché  «egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

La parola di Dio «penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore». Cita papa Francesco che, commentando questo brano parlando alla Curia Romana, disse: «Quest’uomo è costretto a convivere con un dramma terribile: è lebbroso. La sua armatura, quella stessa che gli procura fama, in realtà copre un’umanità fragile, ferita, malata. Questa contraddizione spesso la ritroviamo nelle nostre vite: a volte i grandi doni sono l’armatura per coprire grandi fragilità. [...] Se Naamàn avesse continuato solo ad accumulare medaglie da mettere sulla sua armatura, alla fine sarebbe stato divorato dalla lebbra: apparentemente vivo, sì, ma chiuso e isolato nella sua malattia».

Ma da questo «pericolo ci libera Gesù, Lui che non porta armature, ma nasce e muore nudo; Lui che offre il suo dono senza costringere i lebbrosi guariti a riconoscerlo: soltanto un samaritano, nel Vangelo, sembra rendersi conto di essere stato salvato» E questo perché, forse, meno titoli si vantano e più il dono appare gratuito. «Dio è puro dono, sola grazia, ma quante voci e convinzioni possono separarci anche oggi da questa nuda e dirompente verità!».

Il Papa invita a vedere quanto la spiritualità mariana sia «a servizio del Vangelo: ne svela la semplicità. L’affetto per Maria di Nazaret ci rende con lei discepoli di Gesù, ci educa a tornare a Lui, a meditare e collegare i fatti della vita nei quali il Risorto ancora ci visita e ci chiama. La spiritualità mariana ci immerge nella storia su cui il cielo si è aperto, ci aiuta a vedere i superbi dispersi nei pensieri del loro cuore, i potenti rovesciati dai troni, i ricchi rimandati a mani vuote. Ci impegna a ricolmare di beni gli affamati, a innalzare gli umili, a ricordarci la misericordia di Dio e a confidare nella potenza del suo braccio. Il suo Regno, infatti, viene coinvolgendoci, proprio come a Maria ha chiesto il “sì”, pronunciato una volta e poi rinnovato di giorno in giorno».

I lebbrosi che, guariti, non tornano a ringraziare «ci ricordano che la grazia di Dio può anche raggiungerci e non trovare risposta, può guarirci e non coinvolgerci. Guardiamoci, dunque, da quel salire al tempio che non ci mette alla sequela di Gesù. Esistono forme di culto che non ci legano agli altri e ci anestetizzano il cuore. Allora non viviamo veri incontri con coloro che Dio pone sul nostro cammino; non partecipiamo, come ha fatto Maria, al cambiamento del mondo e alla gioia del Magnificat. Guardiamoci da ogni strumentalizzazione della fede, che rischia di trasformare i diversi – spesso i poveri – in nemici, in “lebbrosi” da evitare e respingere». Occorre ricordare, insiste papa Leone, che «il cammino di Maria è dietro a Gesù, e quello di Gesù è verso ogni essere umano, specialmente verso chi è povero, ferito, peccatore. Per questo la spiritualità mariana autentica rende attuale nella Chiesa la tenerezza di Dio, la sua maternità».

Cita ancora papa Francesco e la sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium per dire che «ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, i quali non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti. Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché “ha rovesciato i potenti dai troni” e “ha rimandato i ricchi a mani vuote” è la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia». E allora «in questo mondo assetato di giustizia e di pace, teniamo viva la spiritualità cristiana, la devozione popolare a quei fatti e a quei luoghi che, benedetti da Dio, hanno cambiato per sempre la faccia della terra. Facciamone un motore di rinnovamento e di trasformazione, come chiede il Giubileo, tempo di conversione e di restituzione, di ripensamento e di liberazione». E questo con l’intercessione di «Maria Santissima, nostra speranza, e ancora e per sempre ci orienti a Gesù, il crocifisso Signore. In lui c’è salvezza per tutti».