Viva l'Italia. E' l'esclamazione che abbiamo fatto in cuor nostro nel momento in cui Bernardo Bertolucci, in qualità di presidente della giuria internazionale, ha annunciato che il Leone d'oro della 70° Mostra del cinema di Venezia veniva assegnato a Sacro GRA del regista Gianfranco Rosi. E non per sciovinismo (anche se erano quindici anni che il cinema italiano non conquistava il massimo alloro sulla Laguna, ultimo Gianni Amelio con Così ridevano). Il fatto è che il curatore Alberto Barbera ha avuto il coraggio di selezionare per la prima volta due documentari e che Bertolucci ha saputo premiare quello migliore.
“Il film di Gianfranco Rosi è un'opera sorprendente”, ha commentato il regista parmense, che proprio questa sensazione aveva dichiarato di cercare alla vigilia del concorso. “Un viaggio all'interno di questo anello stradale che, come un anello di Saturno, circonda la città di Roma. Rosi, facendo tutto da solo in tre anni di paziente lavoro, è riuscito a farci affezionare e scoprire i suoi personaggi, persone vere”.
E' stata una vittoria ai punti, non certo per ko, sia chiaro. Sacro GRA rasenta la poesia quando, come in una parabola francescana (parole sempre di Bertolucci), accosta lo spettatore all'ultimo anguillaro del Tevere; al palmologo angosciato per la morte degli amati alberi per colpa di un terribile insetto, il punteruolo rosso; al nobile decaduto che vive in un misero bilocale per permettere alla figlia di studiare. Ci sono però anche momenti più didascalici in cui le storie raccontate, pur intrise di profonda umanità, non trovano ragion d'essere in funzione della maledetta superstrada. Si spiegano così i fischi e i dissensi di una parte (non grande, per la verità) della critica straniera. Ma se il criterio doveva essere quello della diversità, allora giusto il premio a Sacro GRA piuttosto che ad altri titoli pretenzioni e fintamente alternativi. “Questo verdetto apre una breccia”, il commento a caldo del vincitore, “entrando in uno spazio in cui non c'è differenza tra finzione e documentario, ma soltanto una parola che li accomuna: cinema”. Verissimo. Dopo Michael Moore, con l'Oscar per Bowling a Columbine e la Palma d'oro di Cannes per Fahrenheit 9/11, adesso c'è Gianfranco Rosi che col suo Sacro GRA ha trionfato al festival culturalmente più prestigioso, che ostina a farsi chiamare Mostra d'arte cinematografica.
Se il massimo premio fosse dovuto andare, invece, al film convenzionale girato con più maestria, allora a trionfare sarebbe stato certamente Philomena di Stephen Frears con l'eccelsa Judi Dench. O magari l'emozionante Locke, dell'altro inglese Steven Knight, mercè la sorprendente interpretazione di Tom Hardy (che era però fuori gara). Il trionfo italiano è stato poi arricchito dalla sacrosanta Coppa Volpi quale migliore attrice alla veterana Elena Cotta di Via Castellana Bandiera, originale dramma di Emma Dante. E piuttosto che al greco Themis Panou, noi avremmo dato la Coppa Volpi maschile al toccante Antonio Albanese de L'intrepido. La bella pellicola di Gianni Amelio non è esile, come certi critici hanno voluto bollarla, bensì lieve nella capacità di trattare temi angosciosi (disoccupazione, precariato, solitudine) con un soffio di speranza. Questo non vuol dire essere naif ma coraggiosi. E anche se non è stata premiata dalla giuria, sarà certo il pubblico a farlo.