Probabilmente chi è andato a vedere Il giovane favoloso sarà tornato a casa con l'idea di Leopardi che s'era già fatta ai tempi del liceo. Che il poeta di Recanati, cioè, fosse un mezzo “sfigato” con due genitori asfissianti, il gobbo sbilenco e la proverbiale sfortuna con le donne. Può darsi. La portata del personaggio d'altra parte è quella che è. E il regista Mario Martone ha avuto un certo coraggio nel portarlo in scena. Sta di fatto, però, che al botteghino sta sbancando. Dopo le prime due settimane di programmazione, è stato il film italiano più visto della stagione autunnale del 2014 con oltre quattro milioni di euro d'incassi e un milione di spettatori. Quasi un miracolo pop. L'ennesimo, a dire il vero, per il poeta di Recanati che si proponeva di «mirare intrepidamente il deserto della vita», pur nell'amara consapevolezza che neppure la lingua poetica, anche se a maneggiarla era un genio come lui, riesce a dar conto della totalità del reale, anzi dell'infinito: «Lingua mortal non dice / quel ch'io sentiva in seno».
Gli altri indizi? Lo straordinario successo che sta avendo nel mondo anglosassone la traduzione integrale dello Zibaldone salutata dalla stampa come un «major event» e le polemiche roventi scatenate dal ritrovamento l'estate scorsa del fantomatico terzo manoscritto autografo dell'Infinito messo all'asta e poi sequestrato a Roma dai carabinieri perché non autentico.
Don Gennaro Matino
Ce n'è abbastanza, insomma, per dire
che Leopardi è tornato d'attualità. Ammesso che un grande come lui
abbia mai smesso di esserlo. A interpretare il poeta di Recanati è l'attore
Elio Germano. «Quello che più mi colpisce», ha spiegato tempo fa
l'attore in un'intervista, «è la distanza dalle cose, questo
vedersi distaccato dal mondo, che ritroviamo negli adolescenti di
oggi. Uno scienziato dell'anima che analizza l'uomo con la lente
d'ingrandimento per mostrarne l'indecifrabilità, si accanisce per
raccontare l'irraccontabile».
L'approdo non è il “pessimismo
cosmico”, formuletta scolastica che fa torto al poeta di Recanati.
«Tutt'altro», afferma don Gennaro Matino, scrittore e parroco a
Napoli, «Leopardi è sempre stato una provocazione intelligente per
la gioventù. La sua ricerca di assoluti è una categoria che
riguarda i giovani, perché la loro esigenza fondamentale è quella
di provocare andando oltre se stessi, di mettersi in crisi. E chi lo
riduce al pessimismo dimentica La Ginestra, il suo testamento
poetico, in cui avanza l'idea che un'umanità stanca e avvilita possa
camminare insieme per salvarsi dallo “sterminator vesevo”, ossia
dal non senso, dalla sofferenza».
Il Canto notturno, con la
celebre invocazione alla luna («Che fai tu, luna, in ciel? / dimmi
che fai») chiamata in soccorso come testimone esistenziale, è la
preferita di don Gennaro: «È la grande provocazione dell'uomo
moderno circa il senso del dolore e del perché della vita, di questa
natura che, direbbe San Paolo, soffre interamente le doglie del
parto. Noi cristiani abbiamo dato una risposta affermando che dopo le
doglie c'è un oltre, Leopardi non ci arriva pienamente. La sua
speranza laica si ferma alla “social catena”, una speranza che
però ci richiama tutti alla responsabilità di tenderci la mano e
camminare insieme, da fratelli».
L'attrice Monica Guerritore
«Ogni volta che Leopardi viene letto
ad alta voce il pubblico rabbrividisce dall'immensità del suo
pensiero», spiega l'attrice Monica Guerritore, presidente della
Giuria dei Letterati al Premio Campiello di quest'anno, che ha
portato in scena lo spettacolo “Dall'Inferno...all'Infinito”. Il
motivo, secondo Guerritore, è che nella sua opera Leopardi parla di
sé, del suo desiderio di un incontro che colmi la sete di felicità:
«L'Infinito, ad esempio, è un brano personalissimo in cui l'autore
racconta quel che accade dentro di lui, scandaglia la propria anima.
Parte dal più piccolo, se stesso, per arrivare a contemplare
l'immensità del cosmo. Ecco, un autore così affascina e appassiona
sempre».
Antimoderno
eppure sempre attuale, Leopardi, secondo il critico letterario
Emanuele Trevi che ha curato le lettere da Roma appena uscite per la
Utet (Questa città che non finisce mai): «Lui è il grande nemico
di questa sorta di idiozia contemporanea che sono i social network»,
spiega Trevi, «nemico cioè dell'idea di una comunicazione come
espressione di opinioni. Il pensiero invece è solitudine, staccarsi
dai propri simili».
Ma la “riscoperta” attuale per Trevi è
dovuto ad altro: «Leopardi è un vero negatore delle idee date per
buone dall'opinione comune, è un vero nemico del consenso come Emil
Cioran nel nostro secolo o Schopenhauer
nell'Ottocento. Ragionava con la sua testa e come un asino
puntava i piedi. Visse in un periodo storico in cui si affermava che
la storia umana consisteva nel progresso e lui diceva che non era
affatto così».
Ecco perché Leopardi parla al cuore inquieto dell'uomo in ogni tempo e sotto ogni cielo: «È il grande maestro di
tutti coloro che cercano di riappropriarsi di un pensiero individuale
rispetto alla forza delle idee che ci circondano», dice, «non è un
caso che il Leopardi che va di più è quello della prosa, perché la
sua scrittura è una specie di palestra di libertà interiore.
Abbiamo sempre bisogno di negatori come lui perché aprono un grande
spazio di libertà a prescindere da quello che pensano».