La chiamano “la piccola Parigi”, anche se ha ben poco in comune con la “Ville lumière” , se non per il fatto che una buona parte dei suoi abitanti viene dalla Francia. Sono più di 3.000 gli esuli che negli ultimi 3 anni hanno scelto di stabilirsi a Netanya, una piccola località balneare situata a una ventina di chilometri a nord di Tel-Aviv. Le insegne dei negozi sono scritte in francese, come i menu dei ristoranti. Nelle strade e nelle piazze si sente parlare più spesso la lingua di Molière che non l’ebraico.
Il caso di Netanya è emblematico di un fenomeno che va assumendo proporzioni inquietanti: anche se non c’è un novello Mosé per guidarli verso la terra promessa, sono sempre più numerosi gli ebrei francesi, e il movimento sembra destinato ad accelerarsi.
I numeri parlano chiaro: secondo i dati della Jewish Agency israeliana, si è registrata nel 2014 una crescita significativa dell’“aliyah” (l’immigrazione degli ebrei in Israele): dalla Francia sono arrivate 7.086 persone, più del doppio delle 3.400 arrivate nel 2013 e quasi il quadruplo delle 1.900 arrivate nel 2012. Per la prima volta, gli ebrei francesi sono stati il gruppo più numeroso, e l’esodo non accenna a esaurirsi: anzi si prevede per il 2015 un’accelerazione senza precedenti dell’aliyah dalla Francia, più di 10 mila persone.
A soffiare sul fuoco è stato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu il quale, venuto a Parigi per partecipare alla marcia contro il terrorismo dopo gli attentati di gennaio contro “Charlie Hebdo” e il supermercato “Hyper kasher” che hanno causato la morte di 17 persone fra cui 4 ebrei, ha dichiarato assai poco diplomaticamente alla presenza del presidente francese François Hollande: «A tutti gli ebrei di Francia, a tutti gli ebrei d’Europa voglio dire: Israele è la tua casa». E ha annunciato iniziative per incentivare l’immigrazione in Israele dalla Francia e da altri Paesi europei.
La comunità ebraica francese è la più numerosa in Europa
Forte di circa 600 mila individui, la comunità ebraica francese è la più numerosa d’Europa, e la terza al mondo dopo Israele e gli Stati Uniti. I motivi che determinano l’accelerazione dell’esodo sono tanti, ma il principale è senza dubbio la paura degli attentati. Dopo la strage in una scuola ebraica di Tolosa, nel marzo del 2012, ad opera del fanatico islamico Mohamed Merah, l’attacco contro il supermercato parigino Hyper kasher che vende prodotti alimentari kosher, il 9 gennaio 2015 nel corso del quale sono stati freddamente assassinati quattro ebrei, ha convinto un gran numero di israeliti che l’atmosfera, in Francia, è diventata irrespirabile.
E non soltanto in Francia: un po’ dappertutto in Europa si moltiplicano gli atti antisemiti, che vanno dall’assassinio di ebrei (come a Copenaghen in febbraio, o al museo ebraico di Bruxelles l’anno scorso) alla profanazione dei cimiteri ebraici o delle sinagoghe.
Fa paura il fatto che l’eccidio dell’Hyper kasher sia avvenuto due giorni dopo la strage dei disegnatori e dei giornalisti di “Charlie Hebdo”, e che in entrambi i casi i terroristi (che era in contatto gli uni con gli altri) fossero dei militanti islamici radicali legati a Al Qaeda o all’Isis: non corpi estranei alla società francese, ma individui nati in Francia da immigrati nordafricani o africani. Cittadini francesi, dunque, che fanno parte della comunità musulmana la quale rappresenta ormai più del 10% della popolazione transalpina.
Bisogna però sottolineare che l’antisemitismo, in Francia, non è soltanto islamico ma è da sempre diffuso in una parte dell’opinione pubblica che parteggia per la causa palestinese ed è anti-israeliana e anti-americana. Il sentimento di insicurezza degli ebrei francesi è anche alimentato dalle radici storiche dell’antisemitismo. la Francia è il Paese dove, alla fine dell’Ottocento, lo scellerato episodio dell’“affaire Dreyfus” ( l’ufficiale ebreo ingiustamente accusato di spionaggio e condannato alla deportazione nell’inferno della Caienna) aveva scatenato i sentimenti anti-ebraici. Prima ancora, verso il 1850, il conte Arthur de Gobineau aveva pubblicato un “Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane” che doveva poi alimentare l’ideologia nazista; e nel 1886 lo scrittore e giornalista Edouard Drumont aveva pubblicato il pamphlet “La France Juive”, la Francia ebraica. Lo stesso Drumont aveva fondato, qualche anno dopo, la “Lega antisemita di Francia”.
Ma é soprattutto il ricordo della seconda guerra mondiale che ancora oggi alimenta il sentimento di insicurezza degli ebrei francesi. Il regime collaborazionista di Vichy guidato dal vecchio maresciallo Pétain aveva promulgato delle leggi razziali ancora più dure di quelle naziste. E fra tutti i Paesi occupati dai tedeschi, la Francia era stata la più zelante nel perseguitare gli ebrei: la polizia di Vichy ne aveva rastrellati circa 70 mila per consegnarli alle SS che li avevano deportati a Auschwitz e in altri campi di sterminio.
Negli ultimi anni è ricomparso l'antisemitismo
Negli ultimi anni è ricomparso l’antisemitismo alimentato anche da una politica ufficiale filopalestinese e dalla presenza di oltre cinque milioni di musulmani sul territorio francese. Fino a far riecheggiare, in alcune manifestazioni, uno slogan che non si era più udito fin dagli anni 1930: “Ebreo, la Francia non fa per te”.
La Francia è cambiata in peggio, dicono gli ebrei. Quelli che emigrano in Israele (o, meno numerosi, negli Usa e in Canada) esprimono il loro sollievo per non avere più la polizia in permanenza davanti alla scuola o alla sinagoga, o per non essere più costretti a togliere la “kippah” per il timore di essere aggrediti in strada.
Sono felici di poter vivere in pace la loro identità e la loro fede. La religione rappresenta evidentemente un fattore importante, se non determinante, nella decisione di emigrare. Non c'è da meravigliarsi che gli ebrei francesi prestino un orecchio compiacente all’appello di Netanyahu. Molti, fra coloro che partono per Israele, rischiano però di essere delusi: nella terra promessa, la vita non è tutta rose e fiori. C’è anzitutto il problema della lingua: la maggior parte degli esuli non parla l’ebraico, e per trovare lavoro sarà costretta ad impararlo.
È vero che lo Stato israeliano ha previsto di aiutarli: corsi gratuiti di lingua e un sussidio in danaro per ciascun “olim” (immigrato ebreo). Ma la vita è comunque dura, in un Paese che vive da oltre mezzo secolo in stato di guerra permanente e dove chi arriva dall’Europa ha l’impressione di ritrovarsi in una fortezza assediata, o, peggio ancora, in un bunker. Ci vuol altro, però, per scoraggiare i candidati, sempre più numerosi, all’esodo verso la terra promessa. Tutte le testimonianza raccolte dai “media” francesi dicono la stessa cosa: l’ebreo che arriva in Israele, si sente accolto bene, circondato dalla simpatia e dalla solidarietà. Il che, purtroppo, non è più il caso in Francia...