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lunedì 14 ottobre 2024
 
il ricordo
 

«Letizia Battaglia voleva distruggere le sue foto di mafia perché aveva sofferto troppo»

14/04/2022  La photoeditor Giovanna Calvenzi ricorda la grande fotoreporter che si è spenta a Palermo a 87 anni il 13 aprile 2022: «Voleva andare in riva al mare e bruciare tutti i suoi negativi di mafia per liberarsene definitivamente. Poi, però si rendeva conto che era un desiderio pericoloso perché significava perdere un patrimonio prezioso di un pezzo della storia italiana»

Aveva lavorato per L’Ora di Palermo dal 1974 al 1991: «A ogni delitto ero obbligata a correre sul posto e a scattare, ma non avrei voluto. Mi veniva da vomitare, continuavo a sentire l’odore del sangue dappertutto, anche a casa mia. Mi costava molto dolore. Non ero una fotografa che documentava un conflitto estraneo. Ero nella mia isola, in mezzo a una guerra civile», disse due anni fa in un’intervista a La Stampa. Celebre il suo scatto che il 6 gennaio 1980 immortalò l’allora presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella esanime tra le braccia del fratello Sergio.

La fotoreporter Letizia Battaglia si è spenta 1l 13 aprile 2022 a 87 anni nella sua Palermo, amata e odiata, dove è stata allestita la camera ardente in Municipio e nel cui mare, che lei adorava, saranno disperse le ceneri dopo la cremazione. È stata lei stessa a chiederlo alle figlie Shobba e Patrizia prima di morire. Se n'è andata pochi giorni prima che la sua storia irrequieta, interpretata da Isabella Ragonese e raccontata in una fiction di Roberto Andò, venisse trasmessa dalla Rai.

«È stata la donna più combattiva che io abbia mai conosciuto, una combattente eccezionale e questa indole nasceva dalla curiosità», è il ricordo commosso di Giovanna Calvenzi, photoeditor in numerosi giornali italiani, tra cui Famiglia Cristiana, e presidente del Museo di Fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo.

Calvenzi conosceva molto bene Letizia Battaglia. Nel 2010 ha scritto il libro dedicato alla grande fotografa, Sulle ferite dei suoi sogni, edito da Bruno Mondadori e nel quale ripercorreva la sua vita. «Aveva una passione etica per cambiare le storture del mondo e delle viste degli altri, una donna formidabile», dice Calvenzi.

A chi la chiamava fotografa, Battaglia replicava: «Non diciamo sciocchezze! Io sono una persona non sono una fotografa!». La sua fama è legata a quasi vent'anni di reportage a Palermo: le sue immagini hanno fermato la storia, quella delle guerre di mafia e contro la mafia. «Lei», ricorda Calvenzi, «viveva un po’ come una prigione i suoi scatti legati alla mafia, li definiva le foto dei morti ammazzati. In realtà, a L’Ora di Palermo era riuscita a creare un gruppo di fotografi straordinario che hanno documentato sul campo una delle stagioni più atroci e drammatiche della storia italiana. Dopo l’attentato a Giovanni Falcone ha smesso di fotografare la mafia perché, diceva, non riusciva più ad accettare la violenza. Nella sua vita ha sempre vissuto questa dicotomia lacerante: da un lato, la consapevolezza di aver documentato un momento storico importantissimo; dall’altro, l'odio per quello che aveva dovuto vedere e fotografare e che le aveva lasciato un dolore profondissimo».

Giovanna Calvenzi (a sinistra) e Letizia Battaglia alla presentazione del libro Letizia Battaglia- sulle ferite dei suoi sogni il 16 dicembre 2010 a Roma (Ansa)

 

«Con la città di Palermo aveva in rapporto di amore-odio»

  

Un malessere che confessò lei stessa in diverse interviste, quando ripercorreva quel periodo: «Sono stati anni in cui si veniva sballottati da una parte all’altra. Ovviamente non sapevamo nulla su chi fossero i capi e i mandanti. L’unica certezza era il dolore che tutti provavamo nel vedere la città di Palermo orfana delle sue persone migliori: politici, poliziotti, carabinieri, gente normale, donne e bambini; come quel ragazzino ucciso perché aveva visto in faccia i killer di suo padre. Sono stati anni orribili. Ricordo il 6 gennaio 1980. Ero in macchina con Franco Zecchin e mia figlia Patrizia. Notammo una piccolissima folla di persone in strada, e ci fermammo. La vittima di quell’agguato mafioso era il presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella. In quella foto c’è anche un signore con i capelli al vento, era suo fratello Sergio».

Quando nel 2010 Calvenzi vola a Palermo per intervistarla e scrivere il libro-biografia, Letizia Battaglia le confessa un sogno: «Voleva andare in riva al mare e bruciare tutti i suoi negativi di mafia per liberarsene definitivamente», ricorda, «poi, però si rendeva conto che era un desiderio pericoloso perché significava perdere un patrimonio prezioso di un pezzo della storia italiana e alla fine è andata avanti per testimoniare il suo impegno in diverse mostre. È lo stesso rapporto di amore e odio che aveva con la sua città di Palermo dalla quale si allontanava e poi ritornava, quasi prigioniera di un amore tormentato ma che la faceva sentire viva».

Calvenzi ricorda com’era nato il libro: «Non era un libro fotografico ma il racconto della sua vita in prima persona che io ho trascritto e curato. Per questo, avevo chiesto la collaborazione di alcuni suoi amici. Si tratta di una confessione vera e autentica di tutto quello che lei ha vissuto. Il titolo, Sulle ferite dei suoi sogni, me lo suggerì lei. È una frase di un regista teatrale che l'aveva definita così: “la donna che ha camminato sulle ferite dei suoi sogni”».

La carriera di fotografa di Letizia Battaglia era cominciata tardi, nel 1971, a 39 anni. Da poco era approdata a Milano, prima tappa di una carriera che ha toccato anche Parigi prima di virare ancora verso la Sicilia. Pier Paolo Pasolini fu il soggetto del suo primo scatto. Era una sfida che affrontò con caparbietà ma anche con grande intuito professionale. La svolta della sua vita arrivò nel 1974. Rispose all'invito del direttore del giornale L'Ora, Vittorio Nisticò, e presto diventò una testimone della grande cronaca di Palermo e della Sicilia. Per contratto dovette riprendere i morti ammazzati, le mogli delle vittime e le sorelle disperate, le stragi. Le foto di Letizia Battaglia erano icone drammatiche e simboliche delle vicende di mafia. Ma lo erano anche quelle che riprendevano i boss imputati nel maxiprocesso, Giovanni Falcone che raccoglieva le rivelazioni di Tommaso Buscetta, la figura di Giulio Andreotti accusato di avere avuto rapporti con Cosa nostra.

Ma Letizia Battaglia non esitava a cambiare spesso soggetti e a occuparsi soprattutto di donne e di bambine. Celebre, sullo sfondo delle miserie del quartiere della Kalsa, la foto della bambina con il pallone che riuscirà a ritrovare e ad abbracciare dopo 40 anni e che è stata posta accanto al feretro nella camera ardente. Fotografie esposte in tutto il mondo e che le sono valse anche prestigiosi riconoscimenti internazionali come il premio Eugene Smith.

La camera ardente di Letizia Battaglia allestita nel Palazzo municipale di Palermo (Ansa)

 
 
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