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Lettera di una mamma al Papa: «mia figlia è nata in Africa»

26/07/2018  «Guardo la pelle di mia figlia: è scura, eppure se la tocco è uguale alla mia… Voglio consegnarle un mondo in cui la pace e la fratellanza dei popoli siano un diritto rispettato»

Gentile Direttore, sono una madre biologica e adottiva. Mia figlia è nata in Africa. Condivido con molti genitori adottivi dall’Africa, specie dalla Repubblica Democratica del Congo dove è nata mia figlia, un clima di dolore e apprensione per questa incalzante deriva razzista, di intolleranza, di discriminazione degli ultimi tempi. Noi genitori, oltre alle opere quotidiane, utilizziamo i social per cercare di diffondere della buona e giusta informazione sul fenomeno delle migrazioni, facciamo guerra alle fake news, spendiamo tempo ed energie per combattere il pregiudizio. Purtroppo però non basta. E questo processo di disumanizzazione si sta inesorabilmente diffondendo, grazie anche alle sbagliate scelte politiche che tutti ci troviamo a pagare. Siamo stanchi e a volte ci sembra di essere soli.

Le giro la lettera che ho scritto al Papa in occasione della sua visita a Bari il 7 luglio. Purtroppo l’ho preparata troppo tardi per spedirla in Santa Sede secondo le indicazioni. L’ho scritta dopo l’ennesima giornata passata a rispondere a chi ritiene che i migranti vadano respinti. E dopo la morte di quei tre angioletti di pochi mesi, che mi ha straziata. Ero amareggiata. Non so se mai il Santo Padre la leggerà.

Temiamo per i nostri fratelli e sorelle migranti. Temiamo di consegnare ai nostri figli una nazione non pronta ad accoglierne una diversità che è ricchezza. Ci aiuti a far sentire questo grido. Grazie.

PATRIZIA ALTINI

Cara Patrizia, pubblico volentieri la tua lettera indirizzata a papa Francesco. Nel clima in cui ci troviamo, di odio e razzismo, almeno apparente (così ancora spero), la tua testimonianza è molto importante. Perché parte dalla concretezza della vita e non solo da idee e ragionamenti. Sul fenomeno immigrazione mi hanno scritto in tanti. Probabilmente nel prossimo numero raccoglierò i principali interventi. Quello che mi auguro fin d’ora, e che abbiamo sostenuto in diversi modi su Famiglia Cristiana, è che l’Europa intera, non solo l’Italia, non si chiuda nell’egoismo. Non si tratta solo di accogliere i migranti (il cui numero è molto diminuito negli anni), ma di offrire soluzioni politiche vere a un problema complesso. Soluzioni che richiedono più giustizia a livello mondiale, sia dal punto di vista economico che sociale, dialogo tra i diversi Paesi, capacità di integrazione nei confronti di chi arriva in Europa.

Il Papa da sempre ha fatto sentire la sua voce su questi temi. Una delle ultime occasioni è stata l’omelia pronunciata il 6 luglio scorso in San Pietro, nella Messa per i migranti a cinque anni dalla sua visita apostolica a Lampedusa, ricordando le vittime dei naufragi. Ecco uno stralcio del suo intervento: «Di fronte alle sfide migratorie di oggi, l’unica risposta sensata è quella della solidarietà e della misericordia; una riposta che non fa troppi calcoli, ma esige un’equa divisione delle responsabilità, un’onesta e sincera valutazione delle alternative e una gestione oculata. Politica giusta è quella che si pone al servizio della persona, di tutte le persone interessate; che prevede soluzioni adatte a garantire la sicurezza, il rispetto dei diritti e della dignità di tutti; che sa guardare al bene del proprio Paese tenendo conto di quello degli altri Paesi, in un mondo sempre più interconnesso».

Ecco, infine, la tua lettera per papa Francesco, cara Patrizia. Che il Signore ti aiuti sempre e ti sostenga.

«Caro Santo Padre, chi ti scrive è una mamma. Una mamma che ha aperto il ventre per accogliere una vita, e il cuore per accoglierne un’altra dall’Africa. Ti scrivo perché il sette luglio sarai a Bari, nella mia città, e andrai a pregare sulle reliquie di Nicola, un santo nero arrivato da lontano su una barca che non naufragò, amato e venerato a Bari e nel mondo. Che se non fosse stato santo e fosse sbarcato di questi tempi sulle nostre coste sarebbe stato un migrante. E non sarebbe stato né riconosciuto, né accolto, né amato. Ma si amano i santi, e talvolta si odiano i vivi.

In questi giorni di deriva razzista, di intolleranza, di emarginazione, giorni pesanti di morti annegati, pesanti di odio, siamo in tanti a batterci affinché non si dimentichi che siamo tutti fratelli nell’umanità. Come arma abbiamo solo la nostra parola e le nostre opere, ma non bastano contro questa barbarie di sentimenti. E ci stupiamo sempre più spesso nel constatare quanto certe forme di intolleranza e di rigetto arrivino proprio da gente che si professa cattolica.

Santo Padre, in questo momento solo la tua voce può alzarsi, forte e potente, e contrastare il clima di indifferenza e di odio in cui ci troviamo a vivere, e che ci porta a temere la disumanità del nostro vicino, non lo straniero dei gommoni. Sabato ricorda, se puoi, a coloro che pregheranno con te e ti ascolteranno, che non si può far parte dell’umanità se non ci si riconosce fratelli nella stessa umanità. Ricorda, se puoi, che non ci sono compromessi nella fede e nell’amore. E che Dio guardandoci e amandoci non vede il colore, la lingua, la religione, ma vede solo i suoi figli, e ci insegna a fare così, a guardarci l’un l’altro come fratelli. Ricorda, se puoi, che ai fratelli che soffrono o sono in pericolo, si tende la mano, non la si nega, non la si allontana. Ricorda, se puoi, che in quei barconi c’è il figlio dell’uomo, e che continua a morire, non in croce ma annegato, perché non lo abbiamo riconosciuto, aiutato, accolto…

Guardo la pelle di mia figlia: è scura, eppure se la tocco è uguale alla mia, Santo Padre… E io voglio consegnare a mia figlia, a mio figlio, alle generazioni che stanno crescendo un mondo in cui la pace e la fratellanza dei popoli non restino parole ingombranti ma un diritto riconosciuto e rispettato. Grazie Santo Padre».

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