Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
lunedì 14 ottobre 2024
 
Matrimoni infelici
 

«L’ho sposata, le ho dato la cittadinanza, le mantengo il figlio. E lei si lamenta?»

24/01/2023  "Mia moglie è straniera, 35 anni e un figlio adolescente, che mantengo con il mio stipendio. Io le ho dato la cittadinanza e all'inizio era tutto meraviglioso. Lei adesso si lamenta e dice di non volere altri figli perché stanca. Mi accusa di non capirla, ma che posso fare di più?"

All’inizio erano tutte rose e fiori: lei straniera, un figlio già quasi adolescente. Io l’ho sposata – quarantacinque anni io e trentacinque lei – le ho dato la cittadinanza, le sto mantenendo il figlio; di figli nostri all’inizio ne voleva, ora non più, dice che è troppo stanca, dopo tutto quello che ha passato, dice che io sono troppo calcolatore, che non si aspettava una vita così... E io sono rabbioso. Ma che devo fare di più? ALESSIO

— Analizziamo subito la reazione spontanea, caro Alessio, che può insorgere dopo aver letto la tua lettera: lei, tua moglie, straniera, è una vera ingrata, ti ha usato, sfruttato, senza pudore, e ora non solo ti rifiuta sesso, ma ha anche delle accuse nei tuoi confronti... è veramente egoista! Una simile lettura non porta da nessuna parte, anzi, rischia di rinfocolare quei pregiudizi, quei “già saputi” che abitano nel fondo del tuo cuore (e certamente del cuore di tanti nostri lettori disposti a darti ragione). All’inizio – mi racconti – ti sei sentito “un grande” (parola tua) perché hai dovuto superare tutte le perplessità (che ora si sono tramutate in accuse) che tutti ti esponevano, mettendoti in guardia dal possibile sfruttamento della “straniera”. Ma le cose – tu lo sai bene – non stanno così: tu hai creduto con il matrimonio di aprire una partita di credito; quasi un “Ecco che cosa ti do: cittadinanza, una casa e mantenimento anche di un figlio non mio”.

E così, in buona fede, hai ritenuto di avere diritto alla sua riconoscenza, ti sembrava di essere al sicuro, perché lei non poteva non vedere quanto le avevi dato e continuavi a darle. Lei nella posizione di chi riceve e tu nella posizione di chi dà e che ha diritto alla gratitudine... Ma questo non è un matrimonio, caro Alessio (e questo chiunque sia la moglie, anche non straniera). Il matrimonio è un patto tra pari, non tra chi ha bisogno (e per necessità finge pure di amare) e chi dà, sentendosi superiore. Un patto tra persone che hanno titolo ad amarsi con tutto ciò che hanno e con tutta la loro storia. Lo riconosce l’Adamo delle origini, quando il Signore Dio, a lui che si sentiva solo, presentò Eva, tratta da una sua costola. E ne uscì il primo canto nuziale della storia: «Come sei bella, tu sei carne della mia carne». Le nozze stanno nel riconoscimento che ciascuno dona all’altro e non nei crediti che ritiene di avere. Che sai tu della storia di tua moglie? Quali strade ha percorso, quale fatica di vivere, quali pani nella sua bisaccia? E lei che cosa sa di te, della tua storia, delle tue fatiche, delle ferite che ti hanno fatto male? Per essere coniugi occorre sapere sempre di nuovo la storia dell’altro. E regalarsela

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo