“Di solito non seguo le notizie in Tv ma la visita del Papa è una buona notizia
per la convivenza tra cristiani e musulmani”. Il viso deciso di Enaja, l’unico
tratto chiaro nel nero dell’abaja – l’abito delle islamiche osservanti - che
l’avvolge dalla testa ai piedi, testimonia come anche i musulmani di Beirut
vivano l’attesa di Benedetto XVI in arrivo domani, 14 settembre, nella capitale
libanese con un senso di festa.
Nel quartiere di Dahye, la roccaforte di
Hezbollah, il “partito di Dio” sciita, ci sono pannelli con il ritratto del
Pontefice da solo o con il presidente libanese Suleiman che annunciano la visita
dell’illustre ospite e bandierine bianche e gialle si alternano a quelle
bianche, rosse e verdi della Repubblica libanese.
“Il Papa non può risolvere
tutti i problemi”, afferma il segretario del Movimento XIV Marzo (la formazione
politica di opposizione), il cattolico Fares Souaied, “ma tutti si aspettano
che venga a incoraggiare sulla strada del rispetto dei diritti umani e della
libertà intrapresa con la primavera araba”.
A Beirut il contraccolpo delle
violenze divampate in queste ore in Libia, al Cairo e nello Yemen, si manifesta
solo nei commenti della gente, desolata per la gravità degli eventi scatenati
dalla diffusione delle immagini ritenute offensive del Profeta Maometto. Il
Libano ha già pagato un prezzo molto alto alla difesa delle identità etniche e
religiose con 15 anni di guerra civile e le ferite si vedono ancora in giro per
la città.
C’è voglia di pace e di stabilità. Come quella che è venuta a cercare
Baker Mohd Ali in fuga dalla Siria: “Non so dire di chi sia la colpa di quanto
avviene nel mio Paese”, afferma, “ma spero che arrivi presto una soluzione”.
Baker è cristiano, armeno: sesabato non dovrà lavorare a giornata come fa
nelle strade da quattro mesi, andrà all’incontro dei giovani con il Papa a
Baabda. Se riuscirà a tornare in Siria - un giorno- , potrà raccontarlo alla sua
famiglia.
In Libano secondo stime delle Nazioni Unite vivono poco più di 4 milioni di
abitanti. Ma, mancando un censimento dal 1932, non vi sono dati certificati, né è
possibile stabilire l'esatto peso delle confessioni religiose. I cristiani
contano 13 confessioni: maronita, greco-ortodossa, greco cattolica melchita,
armena apostolica, armeno-cattolica, siriaco-ortodossa, siriaco-cattolica,
protestante, colta, assira, caldea, cattolica di rito latino. I musulmani
contano 6 confessioni: sunnita, sciita, ismailita, la comunità alawita, drusa.
Infine c'è la comunità ebraica.
Da qualche decennio i cristiani non sono più la
maggioranza. Una sorta di status quo regge ogni equilibrio, che per altro è
fragilissimo. I musulmani sarebbero quasi il 60% della popolazione,
mentre i cristiani arrivano al 39%. A Beirut vive anche una
piccolissima comunità ebraica, con alcune migliaiadi membri. Tutte le
comunità in Libano tendono a sopravvalutare il numero dei propri membri e
nessuna statistica tiene conto delle centinaia di migliaia di profughi
palestinesi.
Nel mosaico religioso cristiano i maroniti hanno la maggioranza
relativa con il 23% cento. Il Libano è l'unico Paese mediorientale dove si
può “passare”, cioè ci si può convertire di nuovo, da una religione all'altra
senza rischiare di essere uccisi o fortemente emarginati dalla società.
Il Libano è una Repubblica parlamentare, che si può definire "semi
presidenziale", perché attribuisce rilevanti poteri al presidente della
Repubblica, corretti da altrettanti ampi poteri al primo ministro e al
presidenze del Parlamento. Le tre più importanti cariche dello Stato devono
essere scelte rigorosamente tra gli esponenti di tre differenti comunità
religiose. Se manca l'accordo ci sono ampi periodi di stallo con il pericolo di
una guerra civile sempre in agguato.
Il tutto è frutto solo in parte di accordi
scritti. Il Pacte nationale del 1943, per esempio, è accettato da tutti, ma mai
codificato. Così come per quasi tutti gli accordi politici più rilevanti. La
Costituzione su base etnico religiosa, cioè una formula speciale di democrazia,
viene sperimentata già nel 1922, quando era ancora protettorato francese. Nel
1922 venne costituito un Consiglio rappresentativo, formato da 30 deputati
eletti a doppio turno in collegi confessionali-territoriali. E così è rimasto
anche dopo l'abbandono nel 1946 del Libano da parte delle truppe del generale De
Gaulle.
Il Patto del 1943 stabilisce che il presidente sia cristiano maronita,
il primo ministro musulmano sunnita e il presidente del Parlamento musulmano
sciita. Agli ortodossi e ai drusi sono riconosciute alte cariche dello Stato.
Il 24 esimo viaggio apostolico di Benedetto XVI – il quarto
in Medio Oriente dopo Turchia, Terra Santa e Cipro - avviene 48 anni dopo quello
di Paolo VI e 15 anni dopo quello di Karol Wojtyla.
Paolo VI si fermò il 2
dicembre 1964 a Beirut all'aeroporto, scalo tecnico nel viaggio verso l'India.
Il Paese gli tributò un accoglienza straordinaria. Giovanni Paolo II visitò il
Libano il 10 e 11 maggio 1997 per firmare l’Esortazione apostolica "Una speranza
per il Libano". In quell’occasione chiese ai giovani di vegliare sulla rinascita
del Paese dopo decenni di guerra civile.
Giovani Paolo II aveva annunciato, il
12 giugno 1991, la convocazione dell'assemblea speciale del Sinodo dei vescovi e
la Chiesa libanese si era riunita tra il novembre e il dicembre 1995. Due anni
dopo Wojtyla decise di andare in Libano e di firmare proprio davanti ai giovani
il documento finale, appunto l'Esortazione apostolica che aveva scritto sulla
base delle riflessioni del Sinodo. Ai giovani Giovanni Paolo II disse: "Questo
documento non è una conclusione, né il punto d'arrivo del cammino intrapreso.
Al contrario è un invito per tutti i libanesi ad aprire con fiducia una pagina
nuova della loro storia".