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venerdì 11 ottobre 2024
 
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Libano, il gen. Portolano: "L'Italia in missione di pace"

10/02/2015  "Siamo militari", dice il generale che comanda la missione Unifil al confine tra Libano e Israele, "ma stiamo in mezzo alla gente. E la popolazione vuole che restiamo".

Il generale Portolano (a destra).
Il generale Portolano (a destra).

Da oltre trent’anni le Forze armate italiane sono impegnate nel sud del Libano nella missione Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon) - oggi Unifil II -, sancita dalla Risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che mira a garantire la piena cessazione delle ostilità tra Libano e Israele, e a controllare il rispetto della Blue Line, che non è un confine vero e proprio, bensì una linea armistiziale internazionalmente riconosciuta, posizionata in uno dei punti più instabili e delicati del Medio Oriente.

L’Italia è impegnata nel sud del Libano, esattamente nell’area ovest, in cui ha la leadership del contingente multinazionale denominato “Sector West” di 3.500 militari, appartenenti a 11 diverse nazioni, alla cui guida c’è il generale di Brigata Stefano Del Col, Comandante del Settore Ovest di Unifil e Comandante del Contingente Italiano.

Gli italiani concorrono, in questo settore, con il contingente più numeroso, circa 1.100 militari, appartenenti per la maggior parte alla Brigata “Pinerolo” di Bari, rinforzata dal Reggimento “Cavalleggeri Guide” (19°) di Salerno, che qui ha costituito la Task Force ITALBATT.

A ridosso del villaggio di Lagunè, sorge la base “1.31”, dove operano i caschi blu italiani. Torrette, e pattugliamenti a piedi per monitorare questa immaginaria linea, che si concretizza nella realtà con una fila di blocchi di cemento azzurri con la scritta Onu (i Blue Barrels), poi la Tecnichal Fence, una rete controllata elettronicamente, quindi una fascia di sabbia, spianata più volte al giorno da pattuglie israeliane, così da rendere ben visibili eventuali impronte.

Ogni mese, poco lontano dalla Blue Line, si tiene il “Meeting del Tripartito” che vede insieme, ad uno stesso tavolo, forze armate libanesi ed israeliane, con la mediazione del comandante di Unifil (comprende truppe di terra - con il settore Ovest a guida italiana e il settore Est a guida spagnola -, aeree e navali), che da luglio 2014 è il generale Luciano Portolano, 52 anni, siciliano di Agrigento.

Il popolo libanese è un popolo orgoglioso, dall’identità forte, che si rende perfettamente conto che senza Unifil, il dialogo con gli israeliani sarebbe impossibile. D’altra parte, che basti poco per dar fuoco alle polveri, lo si è visto proprio nei giorni scorsi. Alla domanda su quale considerazione abbiano degli italiani, alcune donne, impegnate a fare il pane, confermano la necessità della presenza Onu, ma maggior affetto lo riservano proprio agli italiani, che ritengono rispettosi della cultura e tradizione locali, e ringraziano perché, con gli aiuti della cooperazione allo sviluppo italiana, sono stati costruiti scuole, strade e ospedali.

Incontriamo il generale Portolano nella base militare di Naqoura, a oltre cento chilometri a sud di Beirut, quartier generale di Unifil, che ci chiarisce il suo ruolo. «Il mio obiettivo è riuscire a mantenere la calma (o a farla tornare, come in questi giorni) là dove si creano forti tensioni che potrebbero avere ripercussioni a livello politico-strategico. E questo è possibile con un paziente lavoro di negoziazione e mediazione tra le parti. Nel tripartito, che si incontra mensilmente, vengono affrontati i vari problemi, al fine del mantenimento della sicurezza della zona, che entrambi i Paesi vogliono. Quando sono arrivato, dovevo fare da mediatore continuamente, portando le parole dell’uno all’altro e viceversa; oggi i due contendenti si parlano direttamente. E questo è un grande risultato, perché così si riescono a trattare in maniera molto aperta e cristallina le varie problematiche».

- E quando si verificano incidenti?

«Tocca prima avvisare la parte offesa e tentare di arginarne la reazione, dopo contattare il responsabile dell’offesa, quindi - ascoltando le ragioni di entrambi - capire in che modo si può evitare un’escalation di violenze».

- Succede spesso?

«Quotidianamente avvengono incidenti lungo la Blue Line, e bisogna stare attenti che non degenerino, destabilizzando l’area. Ma ci sono anche le violazioni permanenti, che riguardano le zone tuttora contese (13 in tutto), come il villaggio di Ghajar, attraversato dalla linea di demarcazione, o le fattorie di Sheeba. Si tratta di parti del territorio libanese tuttora occupate dagli israeliani, che hanno all’esame una proposta delle Nazioni Unite, rispetto alla quale aspettiamo un parere per una possibile opera di mediazione. Su una collina c’è addirittura una tomba contesa (per i musulmani è la tomba dello sceicco Abbad; per gli ebrei, del rabbino Ashi. Il sarcofago è perfettamente diviso a metà, libanesi e israeliani vi si trovano a pregare, faccia a faccia attraverso una grata, ndr). Quest’ultimo incidente non ha soltanto minato la pace che prevaleva da otto anni nella zona, ma ha anche messo in pericolo l’incolumità della popolazione locale e la sicurezza del sud».

- In una terra dove convivono 18 confessioni, credo che anche i leader religiosi abbiano un ruolo importante per il mantenimento della pace.

«Sono pienamente d’accordo, tanto che i primi incontri che ho voluto fare da comandante della forza e da capo missione sono stati proprio con i leader religiosi. Prima separatamente, con i leader sciita, sunnita, maronita… Poi li ho riuniti tutti assieme qui a Naqoura, e ho espresso il mio ringraziamento per la loro azione, che si concretizza, non solo in aiuti materiali, ma anche nel trasmettere serenità alla popolazione, e questo si riverbera sulle condizioni di stabilità della zona. A loro io attribuisco grandissima importanza e loro sono consapevoli di quanta influenza positiva discenda dal loro ruolo e dalle loro parole».

- Si farà il confine prima o poi?

«Mi auguro di sì. Quel giorno sarà il primo in cui non ci sarà più guerra».

 
 
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