Da un po’ si sente parlare di uno Stato islamico in Libano, “naturale estensione” di quello iracheno. Adesso le voci si sono fatte insistenti soprattutto dopo un articolo del quotidiano panarabo “al Quds al Arabi”, che cita fonti di sicurezza, e che quale emiro cita lo sceicco Ahmed al Assir, un salafita libanese che in passato più volte si è scontrato con Hezbollah. La zona sarebbe quella di Qalamoun, dalle montagne di Zabadani a quelle di Halayem, al confine nord-est con la Siria, dove la situazione è davvero tragica, per la presenza simultanea di al-Nusra e Isis.
Va tenuto presente che, nella zona in questione, vicino ad Arsal che è sunnita, ci sono villaggi sciiti e cristiani (specialmente greci cattolici), che sono minacciati. L’obiettivo dei jihadisti è avere in Libano una testa di ponte consolidata che permetta di sfondare e arrivare ad Akkar e Tripoli, per poter ottenere, così, uno sbocco sul mare. Sullo sfondo, la guerra per procura dei regimi arabi, particolarmente evidente in Siria, con Hezbollah da subito al fianco del presidente Assad, e l’ex premier Saad Hariri – legato all’Arabia Saudita -, che tesse relazioni con le opposizioni moderate a Damasco.
Ecco perché l’esercito libanese concentra il proprio impegno in particolare in queste zone. Generale Portolano, il sud teme infiltrazioni terroristiche? «L’Isis è una minaccia terroristica globale, quindi riguarda tutta a comunità internazionale e come tale ci riguarda - spiega il comandante di Unifil -. Per il momento non abbiamo evidenza di gruppi terroristici collegati all’Isis nella nostra area di responsabilità. Però essendo una minaccia globale, manteniamo alto il livello di attenzione. La cosa positiva è che qui in Libano tutti hanno condannato l’Isis, dalle istituzioni ai leader religiosi, alla società civile».
«Fortunatamente, qui da noi Isis non è ancora presente – incalza Abdul Hoshen Al Husseini, presidente delle municipalità di Tiro -, ma la minaccia incombe, anche perché stanno arrivando migliaia di profughi siriani – solo nella città di Tiro ce ne sono 65mila - non sappiamo a che ideologia fanno riferimento. Va detto subito che questo non è Islam, questi sono collaborazionisti. Chi li ha mandati, aveva come scopo macchiare l’immagine dell’Islam, cacciare via i cristiani dall’Iraq e dalla Siria. Sono sunniti, ma non c’entrano nulla con la fede dei sunniti.
Dicono di agire in nome dell’Islam, ma questa è una grande bugia; la loro ideologia non è accettata da nessuno. Sono stati creati dall’Arabia Saudita come arma per combattere il presidente siriano, ma poi sono sfuggiti al controllo. E la comunità internazionale ha lasciato fare. Hanno distrutto la Siria, ma se Assad è un dittatore, bisogna togliere di mezzo lui, non far fuori il Paese. Chi aveva pianificato la primavera araba, forse aveva in mente di arrivare anche in Libano. Volevano spaccare il Paese, ma è una politica fallimentare».
Il sunnita libanese Mohammed Sammak, segretario generale della Commissione per il dialogo islamo-cristiano, ha sottolineato che le azioni dell’Isis sono «certamente un crimine contro cristiani e yazidi, ma anche contro gli stessi musulmani».
Ma per Al Husseini «la minaccia primaria per i libanesi resta Israele, perché, mentre Isis è una minaccia momentanea, Israele è il nemico sempre alle porte. Nel 2006 ha distrutto tutto il sud in 33 giorni. Anche in tre, quattro anni, Isis non potrà fare quello che ha fatto Israele in 33 giorni». Richiamando l’attenzione sul proprio Paese, il presidente delle municipalità conclude: «Il Libano è una necessità di tutto il mondo; è essenziale per la stabilità di tutto il Medio Oriente».