Un attentato: un ordigno fatto esplodere al passaggio del mezzo con i militari italiani a bordo, il boato, il fumo, il sangue, la conta degli uomini colpiti. Questa volta non è l’Afghanistan, ma è il Libano. E’ successo a circa 40 chilometri a Sud di Beirut, lungo la superstrada che collega la capitale a Sidone. Ed è successo il 27 maggio, giorno che l'Onu ha dedicato alla commemorazione dei suoi caschi blu morti nel mondo in difesa della pace. Non sembra un caso né l’una né l’altra cosa. Normalmente il ricordo dei peacekeeper si celebra il 29 maggio, ma quest’anno le celebrazioni sono state anticipate perché la ricorrenza sarebbe caduta di domenica. L’attacco a un mezzo dell’Onu ha dunque probabilmente una valenza simbolica.
Circa il luogo dell’attentato va detto che a Sidone c’è il grosso campo profughi di Ayn al-Hilwe che accoglie migliaia di palestinesi. Lì più volte le milizie di Al Fatah si sono scontrate con formazioni vicine ad Al Qaida. Solo poche settimane fa, il 10 maggio, c'era stato il passaggio di consegne nel settore ovest della missione Unifil, fra la Brigata di cavalleria Pozzuolo del Friuli, tornata in Italia, e la Brigata meccanizzata Aosta.
Il Parlamento ha autorizzato per questa missione la partecipazione di 1.780 militari. Su esplicito mandato dell’Onu, le nostre forze armate, insieme con quelle di altri Paesi, tra cui la Francia, la Spagna, la Cina, hanno il compito di garantire stabilità e sicurezza nel Sud del Libano, nell'area compresa tra il fiume Litani e la Blue Line (Linea Blu), ovvero il confine con lo Stato di Israele, prevenendo ogni possibilità di ripresa delle ostilità tra le parti coinvolte nel conflitto dell'agosto del 2006, ovvero tra Hezbollah e l’esercito israeliano.
Alberto Chiara
In politici litigano e il Paese affonda nella crisi. Il Libano è sull’orlo del precipizio ancora una volta. La denuncia era stata fatta pochi giorni fa dal nuovo patriarca cattolico maronita Bechara Rahi, il quale aveva avvisato dei rischi circa una nuova strategia delle tensione nel Paese. Bechara Rhai era soprattutto preoccupato delle tensioni tra i politici cristiani, che militano in diversi schieramenti. E del fatto che fanatismi di vario tipo potessero inserirsi nelle dispute per alimentare paure e inquietudini. Si combattono per “briciole di ministeri o posizioni”, aveva denunciato il Patriarca: “La politica ci ha condotto alla situazione di oggi, con una crisi di governo, economica, del turismo e del commercio, insieme a un blocco completo delle istituzioni costituzionali”.
Da quattro mesi il Paese è in stallo per la resistenza di Hezbollah di formare un Governo di unità nazionale. Hezbollah è insieme ad alcuni politici cristiani come l’ex generale Michel Aoun, in un’alleanza definita “dell’8 marzo”. Allo stesso tempo, il movimento opposto, “del 14 Marzo”, esige che Hezbollah, per partecipare al Governo, deve consegnare le armi in suo possesso. Hezbollah è l’unico gruppo in Libano che ha una specie di esercito autonomo, che nelle intenzioni dei leader, serve per “la liberazione della Palestina e la guerra contro Israele”.
Il Patriarca, da quando è stato eletto pochi mesi fa, sta lavorando per comporre le tensioni fra i politici cristiani. Il 19 aprile egli ha radunato diversi leder cristiani che militano in opposti schieramenti: Michel Aoun, del Movimento patriottico libero (vicino ad Hezbollah); Samir Geagea, delle Forze libanesi; Amin Gemayel, del partito Kataeb, Sleiman Franjieh del Marada.
Bechara Rahi ha messo sul tavolo i grandi problemi che la popolazione cristiana libanese sta affrontando, fra cui l’emigrazione, la crisi economica, la svendita di case e terreni. Un altro incontro è previsto per il 2 giugno prossimo. Ma l’attentato ai Caschi blu cambia ogni prospettiva.
Alberto Bobbio
Beirut fa grandi affari ma rischia di perdere la sua storia. Quella che un tempo era la "Parigi del Medio Oriente" sta sacrificando il suo passato in nome della speculazione edilizia. Dopo il conflitto civile (1975-1990) in tutto il Libano è partita una grande corsa alla ricostruzione, che è andata di pari passo con la rinascita economica. Negli ultimi due anni, in effetti, l'economia libanese ha registrato una crescita notevole. Oltre al fermento del settore bancario, a trainare il Paese è stato in gran parte anche il turismo: nel 2009, secondo i dati ufficiali diffusi, gli arrivi dall'estero sono aumentati del 39% rispetto al 2008, arrivando a sfiorare 1,9 milioni di ingressi, un record storico se si pensa che il primato precedente - 1,4 milioni - risale al 1974, prima che scoppiasse la guerra. Il 40% dei visitatori in Libano proviene dai Paesi arabi, in particolare dal Golfo. Dal punto di vista turistico, non è secondario il ruolo del Casino du Liban, che attira un gran numero di giocatori da altri Paesi come la Giordania. Beirut è una città dal tenore di vita elevato, piena di bei locali e ristoranti alla moda che non hanno nulla da invidiare a quelli delle capitali europee.
Ma è l'edilizia in fermento il sintomo più visibile della crescita economica: Beirut è diventata un grande cantiere a cielo aperto. Il valore degli immobili, negli ultimi anni, è molto cresciuto. Nel centro della città sono stati eretti numerosi edifici con appartamenti in vendita a prezzi che vanno dai 5mila agli 8mila dollari al metro quadrato, certamente proibitivi per il cittadino libanese medio. Uno dei nuovi grandi progetti urbanistici, che sarà terminato per il 2014, è il Sama Beirut, un grattacielo alto 200 metri per 50 piani di appartamenti, eretto nel cuore di Achrafieh. Così, il Libano fiorisce economicamente, ma a spese della sua arte e della sua architettura.
L'allarme è stato lanciato da varie associazioni libanesi impegnate nella difesa di ciò che rimane delle bellezze artistiche e architettoniche del Paese. Una di esse è l’Associazione per la protezione del patrimonio libanese fondata e presieduta da Pascale Ingea, pittrice e insegnante di arte che ha studiato anche a Firenze. L’associazione denuncia la sistematica distruzione di antichi edifici e case tradizionali libanesi costruiti tra il XIX e il XX secolo nei quartieri storici, da Gemmayzeh fino a Mar Mikhael.
Un’altra organizzazione impegnata sullo stesso fronte è Save Beirut Heritage: con il ministero della Cultura questa associazione è riuscita a bloccare l'abbattimento di molti edifici. Da segnalare è l’Associazione Libanese per la Protezione dei Siti Naturali e degli Edifici Storici - fondata da Lady Yvonne Cochrane-Sursock, famosa in Libano per le sue attività filantropiche - alla quale Save Beirut Heritage è affiliata. Ma la speculazione edilizia non sembra invertire la rotta: secondo un rapporto del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, nel prossimo decennio a Beirut saranno edificate altre 300mila costruzioni. Presto la capitale libanese sarà talmente affollata di grandi complessi residenziali e nuove costruzioni da non conservare più alcuno spazio verde.
L'associazionismo chiede il sostegno anche dell'Italia per organizzare attività ed eventi culturali: del resto, per il nostro Paese il Libano è tra i primi Stati destinatari di aiuti. Gi investimenti vanno dalla protezione del patrimonio ambientale (come la Riserva dei Cedri dello Shouf), allo sviluppo del settore agricolo fino alla salvaguardia dei siti archeologici (come Baalbeck e Tiro). La cooperazione culturale fra Roma e Beirut è intensa: in Libano è in aumento la richiesta di cultura italiana, così come dell'insegnamento della nostra lingua. I giovani attivisti libanesi guardano dunque con speranza anche al nostro Paese per promuovere a Beirut una cultura di pace attraverso la difesa della sua identità e della sua storia.
Giulia Cerqueti