La colonna vertebrale è il pilastro su cui si regge la nostra vita. Un pilastro però non rigido, ma elastico, fatto apposta per subire infinite sollecitazioni (sollevare pesi, torcersi, flettersi…), e assumere diverse posture.
Un sistema complesso che può andare incontro a patologie vere e proprie, ma anche a un lento logoramento che si traduce spesso nella generica definizione di “attacco di mal di schiena”. Di cause e rimedi per questa patologia, che almeno una volta nella vita colpisce quasi tutti noi, abbiamo parlato con il professor Giuseppe Mineo, dell’Istituto ortopedico Gaetano Pini di Milano, e docente all’Università degli Studi del capoluogo lombardo.
«Gli uomini pagano prima di tutto lo scotto di essere passati dalla posizione a quattro zampe, comune a quasi tutti i mammiferi, a quella a due zampe», esordisce il professor Mineo. «Insomma, l’evoluzione ci ha offerto molti vantaggi ma anche qualche svantaggio. Infatti per poter essere… bipedi, le anche debbono sopportare il carico della parte superiore del nostro corpo. Altro fattore “a rischio” è la nostra estrema mobilità: siamo sempre in movimento, ma non nel senso buono del termine. Ci muoviamo soprattutto su mezzi a quattro ruote, subendo dosi massicce di vibrazioni. Guidare è poi una posizione innaturale e non a caso agenti di viaggio e soprattutto camionisti sono spesso affetti da disturbi alla colonna».
A quale età insorgono più facilmente?
«Il mal di schiena è una patologia che riguarda l’essere umano da quando nasce alla vecchiaia e che comporta una miriade di aspetti. Nel bambino e nell’adolescente la problematica più ricorrente è la scoliosi. E per monitorarla già allo stadio iniziale sarebbe obbligatorio per legge uno screening per la colonna vertebrale durante la scuola primaria, che però quasi nessun istituto scolastico riesce a organizzare.
Con l’inizio dell’attività lavorativa si presentano una serie di fattori che influiscono sullo stato della schiena. Non è un caso che alcune attività vengano classificate come usuranti. È un costo sociale non irrilevante: per un attacco di sciatalgia o blocco vertebrale si arriva a perdere anche una settimana di lavoro. E poi c’è l’inevitabile decadenza dei tessuti tipica dell’età matura».
Quanto è determinante la postura?
«Tantissimo, e per questo motivo abbiamo una grande responsabilità nei confronti della nostra schiena. Sostanzialmente l’uomo vive in posizione eretta, seduta e sdraiata. E in ognuna di queste posizioni si annidano i rischi per la salute della nostra colonna. Per esempio, quando siamo alla scrivania davanti al Pc dovremmo assicurarci di avere gli occhi dritti sullo schermo, le braccia non in sospensione. Le gambe devono essere appoggiate a terra e non incrociate. E almeno ogni ora dovremmo alzarci e fare due passi per allentare le tensioni muscolari. Ma anche la posizione sdraiata è problematica: la schiena ha tre curve naturali: lordosi lombare, lordosi cervicale e cifosi dorsale. Il materasso deve assecondare queste curve e non annullarle con un eccesso di morbidezza. E in questo ci vengono in aiuto i materassi “a memoria”, in cui i materiali si conformano sul corpo di chi si sdraia, poi tornano alla loro forma originaria. Il cuscino non deve essere troppo basso, ma neppure deve costringere il collo a posizioni innaturali. Un grande passo in avanti lo abbiamo fatto con l’introduzione dei sedili delle auto, anatomici e avvolgenti, che riproducono la forma della schiena, e sono dotati di poggiatesta».
C’è una posizione ideale per dormire?
«Quella più anatomica è la posizione prona, ma la maggior parte delle persone dorme in posizione fetale. E anche sforzandosi di addormentarci a pancia in su, difficilmente ci risveglieremmo così. Chi studia il sonno ha notato che cambiamo continuamente posizione, e in particolare si muovono le persone che hanno problemi respiratori».
Ma quando il dolore arriva, che cosa si deve fare?
«Innanzitutto occorre distinguere i vari tipi di dolore. C’è quello neurologico, dovuto al fatto che all’interno della colonna passano le radici e i nervi, i quali sono come cavi elettrici che portano gli stimoli motori e ricevono a loro volta gli stimoli dal mondo esterno. Tra le cause di questi risentimenti neurologici ci sono le protrusioni o le ernie vere e proprie. Meno conosciuta la spondilosi, una malattia strutturale della vertebra per cui avviene un indebolimento o una rottura delle lamine, cioè della base che sorregge i processi spinosi. Poi c’è la spondilodistesi, lo spostamento in avanti di una vertebra rispetto alla vertebra sottostante. Quasi sempre tale scivolamento avviene tra la quinta vertebra lombare e la prima sacrale. Queste ultime due patologie sono spesso congenite.
Il secondo tipo di dolore è quello miogeno, a carico cioè della muscolatura. Si ha una contrattura muscolare che può essere innescata da un sovraccarico.
Nelle donne, il dolore lombare può avere una componente ginecologica (infiammazione di utero e ovaie). In casi gravi la lombalgia ha anche una componente vascolare, spesso trascurata dal medico del pronto soccorso, che si vede arrivare un paziente con un dolore acuto e persistente da giorni alla schiena, e che non sospetta l’imminente rottura di un’aorta. Infine ci sono dolori causati da una perfrigerazione (colpo di freddo)».
Sono utili i farmaci?
«Per questa patologia non c’è un farmaco unico. Per esempio, se il dolore ha una componente neurologica, servono i neurotrofici, mentre sono del tutto inutili gli antinfiammatori e i miorilassanti. Talvolta neppure il medico generico possiede una cultura farmacologica adeguata. Il dosaggio deve essere giusto e immediato. Se viene eseguita una diagnosi corretta il soggetto guarisce. Altrimenti, se la diagnosi è errata e la terapia non è consequenziale, il soggetto cronicizza».
In caso di ernia la soluzione chirurgica è quella più efficace?
«Sì, se si tratta di un’ernia espulsa con grossi deficit motori (parestesie, difficoltà di deambulazione). La tecnologia chirurgia (discectomia) ha fatto passi da gigante, anche in caso di ernie cervicali. Con un paragone azzardato possiamo dire che entrando in una sala operatoria oggi sembra di essere alla Nasa, mentre qualche decennio fa ci trovavamo a operare in una sorta di officina meccanica».
Che cosa accade quando ci rivolgiamo a un medico per un mal di schiena persistente?
«Immaginiamo che arrivi in studio un soggetto maschio di 35 anni, sportivo dilettante, con un lavoro non usurante, che lamenta una lombalgia. Per prima cosa gli si raccomanda di interrompere tutte le attività fisiche mentre si procede con le indagini. Può essere sufficiente un’analisi clinica unita a una Raggi X per vedere come è fatta la sua colonna. Si prescrive una risonanza magnetica quando si sospettano conflitti radicolari. Mentre una Tac è più specifica per l’osso. Nelle persone giovani si tende a non prescrivere farmaci, ma a puntare subito su un approccio posturologico, indirizzando il paziente da un fisiokinesiterapista, da un chiropratico o da un osteopata.
Solo se questo approccio non si rivela sufficiente si passa a una terapia farmacologica, che deve essere rapida, efficace e risolutiva. Il farmaco per eccellenza è il cortisone, a microdosaggi (secondo le nuove formulazioni bastano 0,2, 0,4 milligrammi, con annullamento degli effetti collaterali), per non oltre dieci giorni».
E se il dolore è cronico e il paziente in età avanzata?
«Si può ricorrere ai morfinoidi, la cui formula migliore è quella dei cerotti a rilascio lento, modulati in funzione del peso del paziente. Una persona anziana con una poliartralgia, cioè un processo infiammatorio acuto o cronico a carico di più articolazioni, in assenza di controindicazioni come il diabete o l’ipertensione, può ricorrere con grande giovamento ai cerotti anche per periodi molto lunghi, con l’accortezza di cambiarli ogni 72 ore».