(Foto Reuters: attivisti turchi a Istanbul durante una manifestazione a sostegno dei giornalisti del giornale di opposizione Cumhuriyet arrestati).
E' in prigione dal 14 agosto del 2013, quando lo hanno arrestato mentre stava documentando con la sua macchina fotografica gli scontri in piazza Rabaa al Adawiya al Cairo tra le forze di polizia egiziane e i seguaci dei Fratelli musulmani, che manifestavano per protestare contro la cacciata del presidente Mohamed Morsi. Mahmoud Abu Zeid, conosciuto come Shawkan, rischia la pena di morte: nel 2017 l'accusa ha chiesto per lui la condanna suprema.
Per la venticinquesima Giornata mondiale della libertà di stampa, che si celebra il 3 maggio, una giuria internazionale di professionisti dei media ha scelto il fotogiornalista egiziano come vincitore del Premio per la libertà di stampa Unesco/Guillermo Cano. Creato nel 1997 il riconoscimento è intitolato al reporter colombiano che fu assassinato a Bogotà, nel 1986, davanti alla sede di El Espectador, il quotidiano che dirigeva dal 1952. Negli anni terribili dei cartelli della droga e della guerra del narcotraffico in Colombia, a costare la vita a Guillermo Cano Isaza furono i coraggiosi articoli nei quali il giornalista denunciava il potente Cartello di Medellín di Pablo Escobar, il re della cocaina, il più famigerato boss del narcotraffico di tutti i tempi.
Ancora oggi, nel 2018, quello del cronista è un mestiere gravemente a rischio in tutto il mondo. Il rapporto annuale di Reporters without borders (Rsf) - che esamina la situazione di 180 Paesi - anche quest'anno denuncia un aggravamento delle minacce - neppure velate - e della violenza nei confronti di chi per lavoro documenta e racconta i fatti. Se in Paesi come Turchia (157° posto nell'Indice di Rsf) ed Egitto (161°) è ormai radicata quella che Reporters without borders chiama "mediafobia" (gli attacchi a giornalisti e fotoreporter sono normale prassi quotidiana), la situazione della libertà di stampa non è certo confortante in altre parti del mondo, Europa compresa.
Malta, Repubblica ceca, Serbia e Slovacchia quest'anno hanno subìto delle pesanti caduti nell'Indice stilato da Rsf. A ottobre del 2017 in Repubblica ceca (passata dall'11° al 34° posto) il presidente Milos Zeman si è presentato in conferenza stampa, pochi giorni prima delle elezioni, imbracciando un finto kalashnikov di legno con la scritta ben visibile "per i giornalisti", sollevando un mare di proteste e indignazione, del quale lui si pè ben poco curato.
Sempre ad ottobre la giornalista e blogger maltese Daphne Caruana Galicia, nota per le sue inchieste contro la corruzione, è rimasta uccisa in un attentato. Lo scorso febbraio in Slovacchia il giovane cronista Jan Kuciak è stato assassinato in casa sua insieme alla fidanzata Martina. Un'esecuzione legata molto probabilmente al suo lavoro di inchiesta sulla 'ndrangheta in Slovacchia e sui legami tra politica e criminalità organizzata. Quanto alla libertà di stampa in casa nostra, l'Italia si attesta al 46° posto, subito dopo gli Stati Uniti e prima del Belize. I più virtuosi sono i nordeuropei: la Norvegia guida la classifica, seguita da Svezia, Olanda e Finlandia. Fanalino di coda dei 180 Paesi: la Corea del Nord.
In tutto il mondo fare i cronisti è sempre più rischioso. Secondo l'ultimo rapporto dell'Unesco (World Trends in Freedom of Expression e Media Development Report) dal 2012 al 2016 nel mondo sono stati uccisi 530 giornalisti, una media di due alla settimana. Nel 92% dei casi si è trattato di reporter locali. Nella maggior parte dei casi gli omicidi rimangono impuniti: solo in un caso su dieci viene fatta giustizia.