(Foto Reuters: ragazzini sfollati in una struttura di accoglienza a Tripoli)
L'incubo di una grave crisi umanitaria incombe sulla Libia. La Caritas ha lanciato un preoccupato allarme: il conflitto in corso tra le forze del generale Khalifa Haftar e quelle del Governo di Fayez Sarraj ha già provocato oltre 25mila sfollati interni, fuggiti dalle zone colpite dagli scontri. Il rischio, si legge nel comunicato della Caritas, è che l'emergenza si allarghi su scala regionale con flussi importanti di profughi verso i Paesi vicini, Tunisia, Algeria, Egitto, e verso l'Europa. Per la Caritas italiana, "in Libia - come nelle altre crisi della regione, in Sudan e Siria - si intrecciano giochi di potere e interessi interni". L'auspicio è che "l'Italia e gli altri Paesi europei, partire da quelli del Mediterraneo, in accordo con l'Onu, possano farsi promotori di un'iniziativa congiunta per la pace in Libia e prepararsi a un'azione umanitaria in loco e di accoglienza dei profughi per non lasciare soli i Paesi limitrofi, come purtroppo è accaduto per tante altre crisi dimenticate".
Come sempre accade nei conflitti, in Libia le prime vittime sono le fasce più vulnerabili della popolazione, a partire dai minori: circa 1.800 bambini hanno urgente bisogno di essere portati via dalle zone della prima linea del combattimento, altri 7.300 sono già stati sfollati. Nel complesso, sono 500.000 i bambini colpiti finora in tutta la parte occidentale del Paese. L'allarme è stato lanciato in una dichiarazione congiunta dal direttore generale dell'Unicef e dal rappresentante speciale del Segretario generale dell'Onu per i bambini ed i conflitti armati.
Migliaia di famiglie in fuga, oltre tremila migranti e rifugiati bloccati nei centri di detenzione vicini al conflitto, dove ricevono cibo e beni di prima necessità solo saltuariamente e in modo precario: è il quadro tracciato da Medici senza frontiere, che opera sul posto con un'équipe presente a Tripoli. Qui l'organizzazione umanitaria continua a fornire cure mediche, farmaci, alimenti, acqua potabile, kit per feriti di guerra, ma, avverte Msf, le strutture sanitarie stanno esaurendo le scorte di forniture mediche e molte persone vivono ormai da giorni senza acqua né elettricità.
Particolarmente difficile è la situazione all'interno dei centri di detenzione, dove il numero delle persone detenute può variare di giorno in giorno a causa dei trasferimenti da un centro all'altro: negli ultimi giorni quasi duecento persone sono state trasferite dalla struttura di Ain Zara, molto vicina alla zona dei combattimenti, a quella di Sabaa, che si trova a 6 chilometri e mezzo dal fronte. Ma con questo spostamento la popolazione del centro di Sabaa è arrivata a 540 rifugiati, aggravando fortemente le condizioni già precarie della struttura. I trasferimenti medici verso Tripoli da altre città, inoltre, non sono più possibili. L'unica via di scampo dalle violenze per molti libici, osserva Msf, resta la strada del Mediterraneo, verso le coste europee. "Sappiamo che cercare sicurezza", dichiara l'organizzazione, "è una reazione concreta e umana a situazioni di estremo pericolo come questo conflitto. In assenza di qualsiasi meccanismo di ricerca e soccorso dedicato nel Mediterraneo centrale, la vita delle persone è a rischio tanto in mare quanto a Tripoli". Medici senza frontiere chiede che "gli Stati membri dell'Ue trovino un accordo per sbarcare le persone in porti sicuri, mettendo fine alle azioni punitive per ostacolare le organizzazioni umanitarie impegnate in mare".