I combattimenti in Libia (Reuters).
C'è una sinistra circolarità nel fatto che proprio da Sirte, da dove nel 1969 gli ufficiali golpisti (tra i quali anche Muhammar Gheddafi) trasmisero i primi proclami contro la monarchia di re Idris e re Hasan, vengano oggi trasmessi i deliranti sermoni di Al-Baghdadi, in seguito alla conquista della città da parte delle milizie islamiste.
Però questo è proprio quel che succede in queste ore: l'islam terroristico avanza in Libia; delle grandi città libiche affacciate sul Mediterraneo non è in mano all'Isis solo Tobruk, dove se ne stanno rintanati il Parlamento e il Governo di transizione al momento guidato da Abdullah al-Thani; e le autorità italiane invitano i connazionali ancora presenti in Libia (un centinaio) ad andarsene il più presto possibile.
Secondo gli esperti di cose libiche, la svolta che ha fatto precipitare la cose si è avuta meno di un mese fa, quando Omar al-Hassi, capo del Governo autoproclamato (e non riconosciuto a livello internazionale) della Tripolitania, ha subito un attentato proprio da un commando suicida mandato dalle milizie islamiste che si riconoscono nell'Isis di Al-Baghdadi. Al-Hassi e i suoi erano in quel momento alleati dell'Isis: l'attentato "fratricida" indicava che ormai quelli dell'Isis erano pronti a giocare in proprio. Come la presa di Sirte e la continua espansione territoriale sulla costa in effetti dimostra.
E' ora molto difficile, e ormai quasi inutile, affannarsi a metter ordine nelle infinite faide politiche e tribali che comunque si agitano dietro i rispettivi fronti. A Tobruk, il Governo legittimo di Al-Thani è sostenuto dal generale Haftar, ex fedelissimo di Gheddafi, a sua volta aiutato dall'Egitto. Ma il patto è pieno di dissapori e contrasti e regge solo in virtù del comune pericolo. E anche nella parte di Libia dove sventola la bandiera dell'Isis, non tutti sono pronti a dichiarare fedeltà ad Al-Baghdadi.
Due fatti sono però sicuri. Il primo è che l'Isis svolge oggi, e non solo in Libia, ls stessa funzione di "marchio" che, per il terrorismo internazionale, svolse a lungo Al Qaeda: non tutti i terroristi, oggi, sono dell'Isis come non tutti i terroristi, allora, erano di Al Qaeda ma l'ombrello dell'organizzazione-madre funziona (per armi, finanziamenti e appoggi politici) e viene quindi sfruttato, rendendolo così sempre più temibile.
Il secondo è che l'Europa, e in particolare l'Italia, si trovano ora quasi in prima linea. Da Sirte a Roma, come spesso fanno notare i miliziani sui loro siti, ci sono "solo" 1.250 chilometri. A lungo dimenticato, o affidato alle cure degli Usa, il Medio Oriente ora ci entra in casa, con tutti i suoi problemi.
La domanda è: che fare? Il ministro degli Esteri Gentiloni ha usato parole forti: "Non possiamo accettare che a poche miglia da noi ci sia una minaccia terroristica attiva" e soprattutto "Nel quadro della legalità internazionale possiamo anche intervenire".
Italia pronta ad andare in guerra contro l'Isis in Libia, dunque? E' un dilemma durissimo da affrontare, perché anche l'inerzia non pare una soluzione. Quanto al resto, è forse giunto il momento di ammettere che la "legalità internazionale" è necessaria ma non basta a fare di un intervento un intervento anche efficace e sensato. Nel 2011 la coalizione internazionale (19 Paesi tra cui anche l'Italia) che per sei mesi combattè Gheddafi operava in seguito alla risoluzione 1973 delle Nazioni Unite. Piena "legalità internazionale", dunque, ma anche uno degli interventi armati meno pensati e più disgraziati della storia, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Se l'Italia deve tornare a combattere in Libia, è meglio che lo faccia avendo almeno un progetto in mente.