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martedì 15 ottobre 2024
 
 

Libia, i dubbi del vescovo di Tripoli

20/03/2011  Troppa fretta militare per l'ingerenza umanitaria? La domanda del vescovo di Tripoli e le preoccupazioni dei diplomatici del Papa. Armi 'ultima ratio'.

Era il 19 marzo anche allora. Festa di san Giuseppe, come ieri. Il 19 marzo 2003 poco prima delle mezzanotte l’aviazione americana bombardò l’Iraq avviando una guerra provocata da una cortina di menzogne sulle armi di distruzione di massa, i cui danni sono ancora sotto gli occhi di tutti. Ieri la Francia ha dato il via ai raid autorizzati dall’Onu. Giovanni Paolo II quel 19 marzo 2003, mercoledì, invocò, per intercessione di san Giuseppe, il “prezioso dono della concordia e della pace”. Questa mattina Benedetto XVI ha usato esattamente le stesse parole. Vi sono delle differenze nella posizione dalla Chiesa e della diplomazia vaticana? Allora gli interventi del Papa e dell’ allora “ministro degli esteri della Santa Sede”  Jean-Luis Tauran erano entrati nel merito della crisi irachena. In queste ore invece la Santa Sede analizza soprattutto il lato umanitario della crisi. Più direttamente invece entra nel merito il vescovo di Tripoli monsignor Martinelli che in una dichiarazione telefonica all’Ansa propone un ragionamento che pochi hanno fatto in queste ore. In pratica chiede se non si sia intrapresa la via militare “troppo in fretta”.

Martinelli esprime la posizione classica della Chiesa e della Santa Sede in materia di “ingerenza umanitaria”. La dottrina della Chiesa  non è mai stata contraria al diritto di ingerenza a fini umanitari, ma l’approva solo come “ultima ratio”. E in queste ore in ambienti vaticani ci si domanda se ciò è davvero avvenuto. Il dubbio è che l’intervento militare alla fine non fermi le forze di Gheddafi. Il vescovo di Tripoli, che conosce bene il Colonnello, lo ha detto con chiarezza: “Io spero in una resa, ma credo che Gheddafi non cederà, anzi penso che l’uso della forza ne accentui la reazione. A mio giudizio è stato dato il via ad un gioco sbagliato”.

Fonti diplomatiche della Santa Sede non nascondono il fastidio per non aver prima tentato di intrecciare qualche colloquio con il regime libico, in qualsiasi forma. E neppure nascondono un certo fastidio per la fretta francese. E mettono in fila i rischi augurandosi che l’intervento si risolva in breve tempo, come ha sottolineato il cardinale Bagnasco presidente della Cei, e senza “danni collaterali”. La preoccupazione è che la crisi si attorcigli una guerra lunga e che la cosiddetta “coalizione dei volonterosi” non abbia una guida chiaramente identificata “sotto bandiera Onu”, ma sia una sorta di armata che si muove con interessi non del tutto chiarissimi e dove quelli umanitari (salvaguardia della vita della popolazione), secondo il testo della risoluzione dell’Onu, finiscano in fondo alla fila.

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