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Un senso di panico...
 

Liceo classico: e se dopo due anni l'ansia non va via?

29/05/2017 

Cara professoressa, sono la mamma di una ragazza di quindici anni che frequenta il quinto ginnasio. Le scrivo perché non so come aiutare mia figlia a superare la sua ansia continua: studia moltissimo, ma ogni volta che deve svolgere una prova non riesce a dormire la notte precedente e non ottiene poi i risultati che vorrebbe. Si ferma al sei, proprio per il suo stato emotivo. Io pensavo fosse un’ansia legata all’impatto con il liceo, che durasse solo per i primi tempi. Invece sono trascorsi ormai due anni e non vedo una via d’uscita. Ne ho parlato con i docenti, ma loro credono che mia figlia non studi abbastanza. L’ansia, come fattore di scarso successo scolastico, non è contemplata.

ALESSANDRA

— Cara Alessandra, tante volte noi insegnanti ci comportiamo come quel conferenziere che fece vedere al suo pubblico un foglio bianco con su disegnato un puntino nero. Domandò: «Che cosa vedete?». Tutti risposero: «Un punto nero». «Strano», riprese l’oratore, «come mai nessuno riesce a vedere il gran foglio bianco?». È una questione di prospettiva, come in tutto. Davanti a una ragazza che non eccelle l’insegnante a volte può fermarsi all’apparenza e dare la colpa allo scarso impegno. Andare oltre richiederebbe un’autocritica che non tutti siamo disposti a fare. Leggendo i dati del recente Rapporto Ocse sul “Benessere degli studenti” (Pisa 2015), si apprende che tua figlia è in ottima compagnia: il livello di ansia scolastica dei quindicenni italiani è decisamente superiore alla media. Il 56%, infatti, diventa nervoso quando si prepara per un test (contro una media del 37%), il 70%, anche se preparato, quando deve fare un test è molto in ansia (la media è del 56%). Conseguenze: i nostri ragazzi sono meno soddisfatti della loro vita rispetto ai coetanei degli altri Paesi, dice il rapporto. È senz’altro una questione di fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità. Ma a volte siamo noi docenti a innescare il meccanismo, con lo stimolo costante alla competitività, lo sguardo malevolo verso chi fa poco e male, «perché la scuola vi consente di avere un buon lavoro e successo nella vita» continuiamo a ripetere. Frase che arriva con lo stesso piglio dalle famiglie. Come uscirne? Non abbassando il livello sicuramente, ma moderando i toni sì. E facendo un buon esame di coscienza: l’insuccesso di uno studente o di un figlio non è l’insuccesso dei suoi professori o dei suoi genitori. Non l’abbiamo mai detto a parole, certo, ma è probabile che lo abbiamo pensato. E questo basta a trasmettere ansia. Continuiamo dunque a ripetere che conta l’amore per la conoscenza, lo studio per sé, per la propria formazione. Non per il voto, non per ottenere l’approvazione altrui. Che importa è imparare, non essere i primi. Ma, soprattutto, convinciamoci tutti che è veramente così.

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