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venerdì 25 aprile 2025
 
 

Sport e prevenzione, l'eredità di Flavio

03/07/2013  Flavio Falzetti, ex calciatore e direttore sportivo scomparso a marzo scorso, ha combattuto per 15 anni contro due linfomi e la leucemia. Dalla sua lotta è nata un'associazione che promuove diagnosi precoce e screening accurati sui giovani atleti, e una squadra, Life-Ritorno alla vita F.C., la Nazionale dei giocatori che hanno superato una malattia oncologica.

Investire nella prevenzione è la vera arma per combattere malattie gravi che, spesso, colpiscono all’improvviso, anche i giovani atleti. Nello sport soprattutto dilettantistico gli screening e i controlli medici dovrebbero permettere di diagnosticare delle patologie che, se individuate in tempo, potrebbero essere contrastate. Diffondere la prevenzione, farne capire l’importanza fondamentale, è stato l’infaticabile impegno di Flavio Falzetti, ex calciatore e direttore sportivo originario di Norcia (in provincia di Perugia), che a questa causa si è dedicato per anni con passione straordinaria, fino alla sua scomparsa, avvenuta lo scorso 11 marzo, a causa di una leucemia mieloide acuta.

Nel 1998, quando aveva 27 anni e giocava nel Monturanese, serie D marchigiana, a Flavio venne diagnosticato un linfoma di Hodgkin a livello osseo-epatico. Da quel momento, Flavio scese in campo per giocare la partita vera, quella contro la morte. Un calvario, fatto di terapie invasive, autotrapianto, asportazione della milza, cinquanta devastanti cicli tra chemio e radioterapia. Eppure Flavio, forte come un leone, tornò a giocare sul campo di calcio, non si arrese alla malattia, la “Bestia”, come la chiamava lui, che nel frattempo era tornata ad attaccarlo. Nel 2004 incontrò il dottor Nando Scarpelli, medico ematologo, responsabile della struttura di Oncoematologia dell'ospedale di Spoleto, che ha seguito e curato Flavio fino alla fine. Fra i due nacque una profonda amicizia. E insieme fondarono l’Associazione Flavio Falzetti (www.flaviofalzetti.it) impegnata nel promuovere la salute e la cultura della prevenzione delle malattie oncologiche nell’ambito dello sport.

All’interno dell’associazione è nato un progetto straordinario: Life-Ritorno alla vita F.C., la prima Nazionale di pallone, unica in Italia e nel mondo, composta da ex calciatori di vari livelli che, come Flavio, stanno combattendo o hanno combattuto contro il cancro o la leucemia. Con la Life, Falzetti si è battuto per promuovere gli investimenti sulla prevenzione nello sport, vera arma di lotta contro le malattie. Le Marche hanno recepito il problema e risposto con fatti concreti dando un esempio al resto d’Italia: un anno fa la Regione ha approvato una legge che introduce il passaporto ematico obbligando le società anche dilettantistiche a investire sulla prevenzione. In pratica, le società sportive hanno l’obbligo di effettuare screening ematici accuratissimi su tutti gli atleti dai 14 ai 18 anni, per arrivare a un quadro sanitario globale di ognuno, fondamentale per la prevenzione. La legge prevede accordi con l’Avis per il rilascio gratuito del passaporto.

L’Associazione di Falzetti ha promosso la proposta di legge sul passaporto ematico (la cosiddetta “Legge Falzetti”) grazie all’impegno del consigliere regionale Francesco Massi, in collaborazione con la Fondazione Andrea Fortunato, intitolata al giovanissimo calciatore della Juventus morto di leucemia nel 1995, in quello stesso reparto dell’ospedale di Perugia dove anche Flavio era stato ricoverato a lungo.

Oggi, Flavio Falzetti non c’è più. Ma la sua non è una sconfitta. L’eredità di Flavio rimane più presente  che mai. La Life è una realtà vitale, che conta su esempi straordinari. Un nome per tutti, Sasà (Salvatore) Sullo, 41enne ex capitano e centrocampista del Messina, mito indiscusso della storia della squadra siciliana: quando ha lasciato la formazione, il Messina ha ritirato la sua maglia, il numero 41. Un onore che si riserva ai grandi campioni. Nel 2005 Sasà ha scoperto di avere un linfoma. «Io penso di essere stato fortunato. Non mi reputo un eroe. Ma noi della Life siamo un esempio per gli altri malati che, guardandoci, possono ricevere una spinta in più, uno stimolo a guarire e a tornare a fare la vita di prima. Questa è l’importanza della testimonianza».

E aggiunge: «Io sono un positivo di natura. Quando ero malato non ho mai pensato di poter morire. Il mio modo di affrontare la malattia anche con ironia magari non mi ha fatto guarire, ma mi ha certamente dato la possibilità di vivere quel periodo qualitativamente bene. Continuavo a fare le cose che mi piacevano, a coltivare le mie passioni. Ciò che mi premeva davvero era guarire in fretta: avevo 34 anni e sapevo che se avessi perso altro tempo la mia carriera sarebbe finita. La mia prima sfida era guarire in tempo per rientrare. E ci sono riuscito. Ma la sfida più grande è quella che poi ho perso: tornare a giocare ai livelli di prima. Non ce l’ho fatta: dopo un anno di nuovo al Messina, infatti, sono andato in C1. È stata una sconfitta, ma l’ho accettata». Oggi Sasà è viceallenatore del Torino, entusiasta del suo lavoro. La malattia non ha spezzato i suoi sogni.

E poi il giovane Gianluca Longo, 22enne barese, che ha scoperto di avere un linfoma a soli 17 anni, quando giocava nelle giovanili del Bari. Dopo tre anni di stop completo e un autotrapianto, nel 2010 Gianluca è tornato al pallone grazie a Falzetti, che in quel momento era direttore sportivo del Corridonia, nelle Marche, e l’ha portato nella squadra. Oggi, Gianluca è ripartito esattamente da dove aveva lasciato: il Bari, settore giovanile, dove ha assunto un incarico dirigenziale nel campo della comunicazione.

«Le cure sono importanti. Ma deve essere la mente a dominare la malattia e non il contrario», ripeteva sempre Flavio. Lui ha cercato di farlo. Fino al 2012 è stato direttore sportivo della squadra marchigiana del Corridonia. E si è dedicato a scoprire e far emergere giovani talenti del calcio, molti extracomunitari. Nel 2009 ha raccontato la sua storia in un libro, Oltre il 90° (Bradipolibri). «Mi sono guadagnato il titolo di ministro della speranza a costo zero. Ho aiutato tante persone ad affrontare la loro malattia, a farle ripartire dal punto in cui la “Bestia” le aveva fermate», diceva Flavio poco tempo prima di andarsene.

Ad affermare l'importanza dello stato psicologico sul decorso di una malattia è anche il dottor Scarpelli, che nella struttura di Oncoematologia ha realizzato il primo progetto a livello nazionale di terapia teatrale per i pazienti oncologici. «Chi ha un tumore prova una sensazione di oppressione psichica, come se si entrasse in un vicolo cieco», spiega Scarpelli. «Sapere che la malattia è una finestra temporale della propria vita è fondamentale. La malattia oncologica lascia una cicatrice indelebile. Ma è un’esperienza che mentalmente va limitata nel tempo». E aggiunge: «Non esiste la prova che un miglioramento dello stato mentale porti giovamento alla condizione di salute. Ma la logica della quotidianità ci porta a ritenerlo possibile. Un soggetto depresso tende a esasperare gli effetti collaterali della terapia, accentuando il quadro sintomatologico che, in una situazione di equilibro mentale, avrebbe un peso diverso».

L’Associazione Flavio Flazetti sta continuando a portare avanti l’impegno del suo fondatore, grazie al dottor Scarpelli e agli amici di Flavio che gli hanno sempre dato una mano in questa avventura. Un segno importante è arrivato proprio dai giovani del calcio. Poco tempo fa la Primavera della Juventus ha voluto dare il suo contributo: l’allenatore Marco Baroni - che ha partecipato al debutto della Life nel 2010 in un tiangolare con la Nazionale italiana dei Papaboys e la formazione DirTel Vatican team (composta dai dipendenti della Santa Sede) - ha devoluto all’associazione 1.200 euro, frutto delle “multe” pagate dai suoi ragazzi. Questa somma servirà a promuovere nuove iniziative di beneficenza, per continuare a sensibilizzare il mondo dello sport, e non solo, sull’importanza delle prevenzione nella lotta contro le malattie oncologiche.

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