Gli attentati a Vienna, lunedì 2 novembre, e Nizza, venerdì 30 ottobre, non sconfessano l’appello alla fraternità lanciato da Papa Francesco, ma anzi lo rendono ancora più attuale. Perché i terroristi jihadisti che sono tornati a colpire l’Europa vogliono «destabilizzare» la convivenza, possibile, tra popoli e fedi. Imam a Trieste, Nader Akkad analizza in questa intervista la sfida posta dalla nuova ondata terroristica all’Europa e all’islam e rilancia l’idea di un Concilio musulmano. E puntualizza: quella che gli attentatori fanno del Corano non è una interpretazione ma un abuso e una falsificazione.
Perché il terrorismo ha deciso di colpire Vienna?
Vienna è il cuore dell’Europa ed è erede dell’impero austroungarico, un mosaico di religioni che convivevano pacificamente. L’Austria è tra i primi paesi che hanno riconosciuto l’islam. I sudditi musulmani ad esempio facevano parte dell’esercito e combattevano fianco a fianco con i loro connazionali. L’attentato vuole colpire questo modello di convivenza tra le religioni, vuole destabilizzare e mettere in crisi il tessuto comune di cittadini di culti diversi. Le nostre società oggi sono multiculturali, multirazziali, multiconfessionali. Su questo modello si basa l’Europa. Questi attentati vogliono destabilizzare la convivenza pacifica e instillare il dubbio che i musulmani vivono in Europa ma hanno il cuore altrove, nei paesi di origine o in Stati del terrore. Per questo sono molto importanti le condanne da parte delle comunità musulmane europee, come quelle, pronunciate sia per l’attentato di Nizza che per l’attentato di Vienna, dalla Grande moschea di Roma, l’unico ente di culto islamico riconosciuto in Italia. Con queste condanne si trasmette innanzitutto un messaggio a chi vuole seminare il terrore, dicendo che noi siamo sullo stesso fronte dei nostri fratelli vittime degli attentati, che siamo contro il terrorismo e la violenza. E’, inoltre, un messaggio per sottolineare che il musulmano deve vivere in Europa da cittadino, lavorando per il bene dello Stato in armonia con i suoi fratelli concittadini. Per questo la dichiarazione sulla fratellanza umana firmata ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal grande imam di al-Azhar richiama queste comunità a non considerarsi minoranze nei paesi in cui vivono ma cittadini: noi siamo cittadini europei di fede musulmana, viviamo in Europa mantenendo la nostra fede garantita dalle costituzioni, senza sentirci distaccati dall’Europa.
E perché Nizza?
Se l’attentato di Vienna ha cercato di destabilizzare la convivenza sociale, quello di Nizza ha voluto mettere in crisi le relazioni religiose: per questo l’attentatore ha colpito nella basilica di Notre Dame. L’anno scorso ho formato con padre Stefano Cecchin, presidente della Pontificia Academia Mariana Internationalis, una Commissione internazionale Mariana Musulmano Cristiana, che per l’attentato di Nizza ha espresso «orrore e immensa tristezza per questo gesto sacrilego, pieno di inumanità, di falsa religione e di disprezzo verso ogni autentica forma di convivenza sociale, politica e culturale». E’ la prima volta che un imam e un religioso firmano un simile documento. «Il sangue umano è stato ancora versato all’interno di un luogo di pace dedicato alla Madre di Gesù», abbiamo scritto. «Questo sangue versato oltraggia il Profeta Muhammad; oltraggia la Madre Vergine del Profeta Gesù; oltraggia l’Altissimo, separa da Lui e dalla comunità dei credenti in Lui e nella sua misericordia». Il documento invita cristiani e musulmani per a ritrovarsi per «insieme pregare e insieme trovare i mezzi per cooperare, come individui, famiglie e comunità, nella costruzione delle condizioni sociali, culturali, politiche, economiche e religiose grazie a cui ogni uomo e donna, quale che sia il loro credo religioso, si possano riconoscere nel grido Fratelli tutti».
L’attentato in Francia ha riacceso il dibattito sulle vignette del giornale satirico Charlie Hebdo su Maometto: le vignette giustificano la violenza?
No, non giustificano assolutamente la violenza. La violenza in sé è un male del demonio che distrugge le relazioni e l’amore fraterno. Bisogna dire con tutta la forza no alla violenza, specialmente la violenza compiuta in nome della religione. “Not in my name” deve essere la sigla delle comunità musulmane, bisogna condannare la violenza senza sé e senza ma. La libertà di espressione è un grande dono che abbiamo in Europa. Poi bisogna ricordare che la Francia è fondata su tre pilastri: libertà, uguaglianza e fraternità. Per questo abbiamo ribadito che non solo la libertà ma anche la fraternità deve connotare le relazioni. Il che vuol dire domandarsi, anche, se i messaggi che invio grazie alla libertà di espressione sono fraterni. Domandarsi: feriscono le altre persone? Feriscono i nostri concittadini? In questo rientra anche il rispetto del sacro, una cosa molto importante per tutti. E, dunque, sì alla libertà, sì alla satira, ma sì anche a un giornalismo responsabile. Io ho firmato ad Assisi un documento un anno fa sul “giornalismo responsabile”, un patto tra leader religiosi e giornalisti, e alla Civiltà cattolica abbiamo poi firmato un altro patto, intitolato “Parole, non pietre”: a volte la comunicazione può essere dannosa come una pietra lanciata verso un fratello. Nessuno deve usare la religione per fare violenza, ma le parole non vanno usate come pietre. Libertà, fratellanza, e uguaglianza: i nostri modelli di integrazione hanno mostrato delle difficoltà, ci sono quartieri di grande povertà, bisogna dare nuova forza al concetto di uguaglianza. Su questi tre pilastri, libertà, fratellanza e uguaglianza, la Francia può tornare a fiorire.
Gli jihadisti non rappresentano l’islam, le persone che inneggiano alla violenza tra i musulmani sono una minoranza, ma ci sono anche personalità, come l’ex premier della Malesia, che solo pochi giorni fa ha rivendicato il «diritto di uccidere i francesi»: c’è un problema che va affrontato? E’ auspicabile una riforma dell’islam come per la Chiesa cattolica c’è stato il Concilio vaticano II?
Io 15 anni fa avevo proposto un concilio musulmano che rimetta in pace i cuori dei musulmani, sia al loro interno, che con altre religioni, che con l’umanità tutta. Come il Concilio vaticano II. L’islam ha bisogno di una riconciliazione, una riconciliazione interna ma anche una riconciliazione con tutto il creato: una enciclica come Laudato si’ può essere molto importante anche per i temi che il mondo musulmano dovrebbe elaborare. Va detto che prima che si possa celebrare un Concilio musulmano sarebbe necessario una rappacificazione politica, perché purtroppo all’interno del mondo musulmano la politica non ha favorito la riconciliazione. Le divisioni politiche non contribuiscono alla nascita di un concilio, ci sono divisioni anche tra paesi arabi e musulmani vicini. Poiché nel mondo musulmano non c’è una separazione netta tra Stato e religione, serve un clima politico fraterno per potere iniziare un processo di conciliazione e arrivare a un Concilio musulmano internazionale. Ciò detto, va chiarito che gli attentatori hanno dato una lettura distorta dei testi sacri per realizzare una loro violenza intrinseca. Sono persone portatrici di una ideologia violenta che cercano nei testi sacri la giustificazione al loro agire. Ma il significato di islam è sottomettersi a Dio: il terrorismo vuole sottomettere Dio, è proprio il contrario dell’islam! Mentre i musulmani si sottomettono a Dio con amore e cuore pacificato, il terrorista vuol sottomettere Dio e la religione alla sua volontà violenta. Non è una interpretazione del testo sacro ma un abuso e una falsificazione.
L’islamologo francese Oliver Roy sostiene, infatti, che non ci troviamo dinanzi ad una radicalizzazione dell’islam ma ad una islamizzazione del radicalismo. I terroristi sono non di rado persone che neppure vanno in moschea, o ci vanno da poco, e caricano la religione della loro ideologia radicale. Come imam, non pensa che sia necessario un lavoro di educazione per evitare che ciò accada?
Ci sono diversi problemi alla base. C’è sicuramente un problema identitario: i nostri modelli di integrazione dell’immigrazione nel tessuto sociale europeo sono modelli da rivedere. Un musulmano che vive in Europa deve sentirsi un europeo musulmano, questa è la sua terra che deve amare e dove deve lavorare per il bene collettivo dei suoi concittadini europei. Se questa identità viene pacificata, dà un colpo importante a tutti coloro che cercano di dire a coloro che hanno difficoltà ad integrarsi, “vieni da noi, trasferisciti nello Stato islamico e ti daremo la tua vera identità”. Per questo c’è un lavoro molto importante da fare a livello di integrazione. Poi c’è un lavoro di educazione da fare. Dobbiamo offrire una vera educazione, ed evitare che i nostri giovani rovino risposta nei messaggi di odio che trovano su youtube. In questo senso penso che i nostri istituti devono trasformarsi da istituti di istruzione a istituti di educazione. Una educazione pacifica e fraterna: non basta l’educazione civica, deve esserci una educazione civica fraterna. Integrazione e educazione nel nome della fraternità.