Ci sono luoghi, ed eventi, che si capiscono meglio a margine, nei fuori programma, nell’incidente polemico e non voluto. Freud, con gli studi sul lapsus ad esempio, lo teorizzò a proposito degli uomini, esseri ben più complicati e difficili di qualsiasi luogo ed evento. Metti tre giorni a Lipari per parlare di Segni e Sogni del Mediterraneo, il festival di arte contemporanea dove critici, giornalisti e artisti, moderati dallo scrittore Tahar Ben Jelloun , si sono confrontati sul tema dei significati dell’arte e i suoi rapporti con il mercato. A inaugurare la mostra Eolie 1950/2015. Mare Motus, curata da Lorenzo Zichichi e Lea Mattarella, figlio del noto fisico Antonino, e allestita all’interno dell’ex carcere mandamentale del castello di Lipari arriva, domenica sera, Vittorio Sgarbi. Ed è subito polemica.
Il (bel) museo archeologico “Luigi Bernabò Brea”, dove sono custodite le opere del Maestro di Lipari appunto, dai vasi di ceramica finemente decorati alle maschere del teatro greco, è chiuso. «Un museo», tuona Sgarbi, «non può essere chiuso una domenica pomeriggio, tanto più la sera che si inaugura la mostra che collega le opere che ci sono dentro all’arte contemporanea». Nel mirino la direttrice Maria Amalia Mastelloni. Una chiusura, va detto, in cui gli organizzatori del festival non c’entrano nulla, anzi. «Noi qui dentro siamo ospiti della dottoressa Mastelloni e non possiamo che ringraziarla per la disponibilità e la professionalità con la quale ha collaborato al nostro progetto», ha spiegato Zichichi. «Possiamo però dire che l’abbiamo invitata più volte, informalmente, sia a venire sia a tenere aperto il museo almeno il pomeriggio dell’inaugurazione. Lei, però, non ci è riuscita, e probabilmente il problema del personale si è rivelato insormontabile».
Ecco, i segni del Mediterraneo, per dirla con le parole del festival, sono anche questi: la polemica vivace, la passione, lo scontro, il paradosso pure. Alla fine, il fuori programma con Sgarbi è stato rivelatore di tutte queste cose insieme. Dagli scavi archeologici ai resti del chiostro normanno, l’arte che fa bella mostra di sé in quel museo a cielo aperto che sono la città murata, la Cattedrale di San Bartolomeo e il castello di Lipari, racconta proprio questo in fondo.
Un’arte che lungi dall’essere evasione testimonia di vicende di scontri e prigionieri più o meno illustri, di incursioni arabe che devastarono l’isola due volte, nell’835 e nell’838 con le reliquie di san Bartolomeo portate a Benevento per metterle al sicuro.
Fino a quando il castello, dal 1863 in poi, non divenne luogo di prigionia e confino con l’istituzione del domicilio coatto, e le case in rovina dell’antico borgo medievale furono trasformate in prigioni. Qui sono arrivati principi e baroni, monaci e briganti, banditi e mafiosi, carbonari e anarchici. Una maledizione spezzata il 28 agosto 1926 quando i liparoti vi posero fine con una sommossa popolare. Poi, durante il Fascismo, arrivarono come confinati politici antifascisti come i fratelli Rosselli e dopo la caduta del regime, persino Edda Ciano, la figlia del Duce, che visse una travolgente storia d’amore con un comunista del posto.
Se si volevano far vedere i segni del Mediterraneo, e del Mediterraneo che bagna la maggiore delle isole Eolie, non c’era “evento” migliore che questa polemica con Sgarbi in fondo. Non organizzato, ovviamente, ma autentico nella sua capacità di raccontare il Mare oggi striato del sangue di guerre e migranti in fuga, storicamente impastato di scontri epocali, guerre di religione e conquiste.
Sui sogni del Mediterraneo, invece, c’è poco da dire. Ogni artista ospitato nelle celle dell’ex carcere, da Matteo Basilé a Piero Pizzi Cannella, da Alex Caminiti a Teresa Emanuele, da Ernesto Lamagna a Maurizio Savini, ha cercato di raccontarne uno. Ogni visitatore che arriverà è autorizzato a farne quanti ne vuole. «Il mare», diceva Joseph Conrad, «non è mai stato amico dell'uomo. Tutt'al più è stato complice della sua irrequietezza». A volte anche della sua crudeltà senza poesia e senza redenzione.