Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
giovedì 12 settembre 2024
 
"Eroe" da esportazione
 

L’italiano che sfama i bimbi di Los Angeles

13/11/2015  Ha cominciato con 20 pasti al giorno, oggi offre pastasciutta a 1.500 ragazzi non abbienti. E con la sua fondazione intitolata a mamma Caterina ha trovato il modo di sostenere direttamente anche le madri bisognose

Nato in Piccardia, nel Nord della Francia, ha origini italiane: un Dna perfetto per uno chef.  In realtà, Bruno Serato, famiglia veneta di San Bonifacio («la zona del meraviglioso vino Soave», ci tiene a precisare) non è diventato famoso solo per l’alta qualità della sua cucina. Figlio di emigrati, rientrato in Italia è cresciuto aiutando i genitori nella piccola trattoria veronese di famiglia. Una vita che non bastava alla sua curiosità e alla sua voglia di fare.







«Ero un ragazzo quando sono volato negli Stati Uniti, per raggiungere mia sorella e imparare l’inglese. Mi mantenevo facendo il lavapiatti in un ristorantino francese».

Tra gli inservienti si distingue subito e diventa prima capo cameriere e poi maître. E come ogni storia che finisce bene, dopo tanti sacrifici riesce ad aprire un locale tutto suo, ad Anaheim, a sud di Los Angeles. La zona di vip e attori. Ma lui, lo dicevamo, non è diventato celebre solo perché ai tavoli della sua White House (la Casa Bianca, così si chiama il ristorante) hanno cenato Madonna, Pelé, Bocelli e persino il presidente Bush. Lui è soprattutto un eroe. Nel 2013 la Cnn lo ha inserito nella classifica degli eroi dell’anno per l’impegno sociale. Da più di dieci anni, infatti, di tasca sua, prepara pasti caldi per più di 1.500 bambini ogni giorno.

«Tutto è cominciato grazie a mia madre. Lei si chiamava Caterina ed è a lei che ho voluto dedicare la mia fondazione, il Caterina’s Club», ci spiega Serato, nel suo curioso italo-americano dallo spiccata “r” francese. «Mamma era venuta a trovarmi a Los Angeles. Insieme siamo andati a visitare un centro di assistenza per ragazzi in difficoltà, al quale fornivo saltuariamente un catering gratuito. Nella nostra famiglia, aiutare il prossimo è sempre stato normale. Mio nonno, che era pastore e certo non era abbiente, regalava latte e formaggi a tutti i poveri del suo paese. Quando mia madre ha visto quei piccoli, che mangiavano poco e male e non avevano neppure una casa, ma vivevano accampati e in condizioni disagiate con le loro famiglie dentro le camere dei vecchi motel dismessi di Disneyland, senza neppure una cucina dove scaldare i pasti, mi ha detto: “Devi fare subito una pastasciutta per questi bambini. Così finalmente mangeranno qualcosa di sano. Sono solo una ventina, ti do una mano. Cosa ci vuole a metterli davanti a un bel piatto di spaghetti?”». 

- Tutto è nato così, dunque: i bambini da venti, piano piano, sono diventati 1.500...

«I primi sette anni me la sono sbrigata da solo. Tutti i giorni preparavo la pasta ai bambini dei sobborghi di Los Angeles. I miei clienti mi davano una mano, anche semplicemente regalando dei pacchi di fusilli o di maccheroni quando venivano a cena al ristorante. Così erano ancora più felici: mangiavano magari un piatto di aragosta, e intanto  facevano del bene».

- Come ha fatto a sostenere questa attività negli anni?

«I bambini aumentavano di numero e nel 2008 erano già 300. Nel frattempo è arrivata la crisi e i fatturati del ristorante erano diminuiti. Economicamente la situazione era diventata impossibile da gestire. Mi sono detto: devo smettere. E mentre lo pensavo, pregavo tra me e me: “Dio, tu ci sei,  mi hai dato questa piccola missione, aiutami tu. Forse mi ha ascoltato, chissà. Sono venuti i giornalisti della Cbs a fare un servizio televisivo su quello che  facevamo nel nostro ristorante e così la gente ha cominciato a fare  delle donazioni. Abbiamo potuto continuare. E non solo. Siamo riusciti ad aiutare tanti  bambini in più. Poi è venuto anche il premio di Eroe dell’anno della Cnn e abbiamo ottenuto ancora maggiore visibilità attraverso i media. Senza che ne avessi mai fatto richiesta, la Barilla ci ha mandato un giorno, a sorpresa, un intero camion di pasta per i nostri bambini».

- Come funziona ora la fondazione Caterina’s Club?

«In America ormai siamo presenti in 12 città e anche a New York. Nell’Orange County, la nostra regione, abbiamo addirittura 22 punti di raccolta  in cui vengono serviti pasti ai bambini e ai loro famigliari. Siamo arrivati a festeggiare il milione di piatti di spaghetti offerti ai minorenni in difficoltà».

- Il vostro esempio è stato imitato?

«Il virus del bene, per fortuna, si propaga in fretta. Gli chef dell’Academia Barilla Restaurant di Manhattan, a New York, hanno iniziato a distribuire pasta gratuitamente ai ragazzi di Brooklyn.  Lo fa anche uno degli chef di Antonella Clerici,  a Bergamo, e un amico che ha un ristorante a San Bonifacio, il paese della mia famiglia. La pasta ha un valore nutrizionale importante e la dieta italiana è una delle più sane».

Chef Bruno, come lo chiamano tutti, è venuto in Italia in occasione del World Pasta Day, proprio per spiegare ai visitatori di Expo come la pasta, piatto icona della cucina made in Italy, sia un alimento di benessere. Consumato ormai in ogni continente, è una scelta accessibile per tutte le categorie sociali. A Milano ha poi incontrato i ragazzi dei City Angels e i poveri che accedono ogni sera alla mensa di questa istituzione lombarda. Chef Bruno ha voluto servire di persona un appetitoso e caldo piatto di pasta ai bisognosi. E ha concluso: «Con Caterina’s Club non ci siamo fermati. Adesso che la fondazione ha maggiori mezzi, cerchiamo di aiutare chi vive nei “motel kids” anche a trovare lavoro. Negli Stati Uniti non ottieni un affitto se non versi almeno tre mesi di caparra. I poveri non possono permetterselo. Noi aiutiamo le mamme a traslocare con i loro figli in vere case. Una di loro, da poco trasferita, ha avuto una bimba e mi ha chiamato per dirmi che l’ha chiamata Caterina. Come la nostra fondazione. Come la mia mamma».  































 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo