Lo sguardo di un signore
sulla sessantina si abbassa
sul monumento che caratterizza
il binario 16 di
Firenze.
«Moltissimi fratelli
ebrei sono partiti da
qua per non fare più ritorno». Daniel Vogelmann,
figlio dell’unico ebreo italiano della
Schindler’s List, è catturato dai ricordi
di una storia personale.
«Nel
1993 dopo il famoso film di Spielberg
furono prodotti anche alcuni cortometraggi
di approfondimento sulla
famosa lista. In alcuni fotogrammi
di uno di questi vengono inquadrati i
fogli originali della “Schindler’s List”;
è stata una scoperta sorprendente, che
mi ha spinto a eseguire delle ricerche direttamente presso l’archivio dello
Yad Vashem a Gerusalemme, dove ho
avuto la conferma ufficiale.
Successivamente
anche a Bad Arolsen in Assia,
dagli archivi contenenti vari dossier
segreti sui crimini del Terzo Reich, ho
avuto un’ulteriore conferma da una
lista originale di Schindler con 1.117
nominativi, uno solo è italiano; la riga
riporta “39.Ju.Ital.69l77 Vogelmann
Szulim 28.4.O3 BuchdruckerMeister”
(maestro tipografo). Mio padre».
- Chi era suo padre?
«Mio padre Schulim è nato vicino
a Leopoli nel 1903. Dopo l’inizio della
Grande Guerra si trasferì a Vienna.
Aveva 15 anni e, spinto da un forte ideale,
partì per la Palestina, la terra dei
nostri Padri. Mio nonno Nachum lo accompagnò alla stazione e gli disse:
“Che vuoi che ti dica? Di mangiare con
coltello e forchetta? Sii sempre onesto!”.
Non si videro mai più».
-Come viveva a soli 15 anni in Palestina?
«Nel 1921, rientrò in Italia. Mio padre
era un ebreo osservante, suo fratello
Mordechai era uno stimato rabbino
a Firenze. Mordechai chiamò quindi
Schulim nel capoluogo fiorentino e gli procurò un lavoro che gli permettesse
di rispettare la festività del sabato.
Lo assunse l’editore e libraio ebreo
Samuel Olschki, proprietario della Tipografia
Giuntina. Successivamente si
sposò con Annetta Disegni, dalla loro
unione nel 1935 nacque Sissel».
- Un buon lavoro, un bel matrimonio,
una bellissima bambina, ci sono
tutti gli ingredienti per progettare
con ottimismo il futuro...
«Nel 1938 con la promulgazione
in Italia delle leggi razziali iniziò la
grande tragedia. La moglie di mio padre
venne licenziata dalla sua cattedra
d’insegnamento all’Istituto Duca D’Aosta
di Firenze, Sissel dovette lasciare
l’asilo pubblico per quello ebraico.
Dopo l’invasione tedesca dell’8 settembre
del 1943, mio padre, con Annetta
e la piccola Sissel, tentò di fuggire
verso la Svizzera, ma vicino a Sondrio
vennero arrestati».
- E successivamente?
«Il 30 gennaio del 1944, con altre
607 persone, vennero condotti alla
Stazione Centrale di Milano dove, al
tristemente noto “binario 21”, li attendeva
un treno per Auschwitz. Il viaggio
durò una settimana: arrivarono in
610 ad Auschwitz, sono tornati a casa
in 20, tra questi anche mio padre. Sua
moglie Annetta e la piccola Sissel non
tornarono più.
Lui riuscì a sopravvivere
grazie alla sua professione di tipografo
che si rivelò molto utile per i
nazisti; quest’ultimi volevano stampare
documenti bancari, sterline e dollari falsi (come narra un altro
celebre film: Il falsario-Operazione
Bernhard) per mettere in grave crisi la
Banca centrale inglese e americana.
Fu trasferito, per le sue capacità e peculiarità
professionali, a Plaszow ed
è proprio nel campo di lavoro, del famigerato
comandante Amon Goeth,
che deve essere entrato in contatto
con coloro che lavoravano per Oskar
Schindler.
Successivamente, lui come
gli altri del gruppo, furono trasferiti
nella fabbrica di Schindler a Brunnlitz.
Fu liberato alla fine di aprile del 1945
dall’Armata Rossa, tornò a casa a piedi
e con mezzi di fortuna, una volta arrivato
a Firenze trovò solamente la sua
Tipografia Giuntina.
La acquisì divenendone
l’unico proprietario e riuscì a
ricostruirsi una famiglia: si sposò con
Albana Mondolfi vedova Passigli e nel
1948 nacqui io».
- Ha condiviso con lei qualche ricordo
di quei tragici anni?
«Pochissimo, quasi niente. Ricordo
la sua visibile amarezza, quando mi
raccontava dell’indifferenza e dell’incredulità
manifestata dalle persone,
quando tentava di raccontare cosa
aveva visto e vissuto».
- Auschwitz ha influenzato la fede
di suo padre?
«Assolutamente sì. Noi abbiamo
una visione precisa del Dio dei nostri
Padri, questo Dio potente, il nostro
“Dio degli eserciti” sembra aver fermato
i propri passi alle soglie d’ingresso
dei campi, dove invece è entrato il suo popolo. È difficile avere una grande ed
incondizionata fede nel Dio di Israele
dopo Auschwitz. Alla mia domanda se
credesse ancora in Dio lui mi rispondeva:
“Un essere superiore ci sarà...”».
- Com’è nata la casa editrice La
Giuntina?
«Nel 1974 (lo stesso anno di Oskar
Schindler) mio padre è mancato. Sulla
lapide della sua tomba è inciso il
numero di matricola che aveva sul
braccio. Oltre al numero di matricola
è incisa una frase in ebraico tratta dal
Qohelet (7,1) tradotta significa: “Un
buon nome è preferibile all’unguento
profumato” (inteso come grande
ricchezza, ndr). È una frase che mio
padre ripeteva spesso nei tempi delle
decisioni importanti e che ha onorato
tutta la sua vita. Risuona in me al pari
del “Sii sempre onesto” che gli disse un
giorno suo padre. La grande sofferenza
dovuta alla sua perdita è stata determinante
per fondare la casa editrice;
nel 1980 il progetto ha preso forma».
- È mai andato ad Auschwitz?
«Qualche anno fa, partendo proprio
dal binario 16. Una volta arrivati
all’interno del campo il ricordo di
Sissel mi ha rapito, il dolore guidava i
miei occhi in una ricerca di lei in quel
luogo simbolo della notte della ragione
dell’uomo».
Nell’ottobre dello scorso anno a
Daniel Vogelmann, per il lavoro trentennale
della sua casa editrice, è stato
conferito dal Parlamento europeo il
premio “Cittadino europeo 2013”.