Pubblichiamo il discorso che papa Francesco ha rivolto venerdì scorso ai partecipanti al Corso internazionale di formazione per responsabili diocesani delle celebrazioni liturgiche sul tema “Vivere in pienezza l’azione liturgica”, che si è tenuto presso il Pontificio Istituto S. Anselmo dal 16 al 20 gennaio.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
E mi scuso del ritardo, ma è stata una mattinata “indiavolata”. Ringrazio il Padre Abate Primate per le sue parole; saluto il Rettore Magnifico e il Preside del Pontificio Istituto Liturgico, i Professori e gli studenti; e saluto il Cardinale Prefetto [del Dicastero del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti] e il Monsignore segretario, grazie di essere qui. Sono lieto di accogliervi e ho apprezzato l’iniziativa di organizzare un itinerario formativo rivolto a coloro che preparano e guidano la preghiera delle comunità diocesane, in comunione con i vescovi e a servizio delle Diocesi.
Questo corso, che giunge ora a conclusione, corrisponde alle indicazioni della Lettera Apostolica Desiderio desideravi sulla formazione liturgica. In effetti, la cura delle celebrazioni esige preparazione e impegno. Noi vescovi, nel nostro ministero, ce ne rendiamo ben conto, perché abbiamo bisogno della collaborazione di chi prepara le liturgie e ci aiuta a compiere il nostro mandato di presiedere l’orazione del popolo santo. Questo vostro servizio alla liturgia richiede, oltre alle conoscenze approfondite, un profondo senso pastorale.
Mi rallegra pertanto vedere che ancora una volta rinnovate il vostro impegno di studio della liturgia. Essa – come diceva San Paolo VI – è «fonte primaria di quel divino scambio nel quale ci viene comunicata la vita di Dio, è la prima scuola del nostro animo» (Allocuzione per la chiusura della II sessione del Conc. Vat. II, 4 dicembre 1963). Per questo la liturgia non si possiede mai pienamente, non si impara come le nozioni, i mestieri, le competenze umane. Essa è l’arte prima della Chiesa, quella che la costituisce e la caratterizza.
Vorrei affidarvi alcuni spunti di riflessione per questo vostro servizio, che si colloca nel contesto dell’attuazione della riforma liturgica. Oggi non si parla più del “cerimoniere”, cioè di colui che cura le “sacre cerimonie”; piuttosto i libri liturgici fanno riferimento al maestro delle celebrazioni. E il maestro ti insegna la liturgia quando ti guida all’incontro con il mistero pasquale di Cristo; nello stesso tempo egli deve disporre tutto perché la liturgia risplenda per decoro, semplicità e ordine (cfr Caeremoniale Episcoporum, 34). Il ministero del maestro è una diaconia: egli collabora con il vescovo al servizio della comunità.
Ecco perché ogni vescovo incarica un maestro, che agisca con discrezione, in modo diligente, non anteponendo il rito a ciò che esprime, ma aiutando a coglierne il senso e lo spirito, sottolineando con il suo agire che il centro è Cristo crocifisso e risorto. Specialmente nella cattedrale, il responsabile delle celebrazioni episcopali coordina, come collaboratore del Vescovo, tutti coloro che esercitano un ministero durante l’azione liturgica, perché sia favorita la fruttuosa partecipazione del popolo di Dio. Ritorna qui uno dei principi cardine del Vaticano II: dobbiamo avere sempre davanti agli occhi il bene delle comunità, la cura pastorale dei fedeli (cfr ibid., 34), per condurre il popolo a Cristo e Cristo al popolo.
È l’obiettivo principale, che dev’essere al primo posto anche quando preparate e guidate le celebrazioni. Se trascuriamo questo avremo delle belle ritualità, ma senza forza, senza sapore, senza senso perché non toccano il cuore e l’esistenza del popolo di Dio. E questo succede quando il presidente de facto non è il vescovo, il sacerdote, ma è il cerimoniere, e quando questa presidenza scivola verso il cerimoniere, è finito tutto. Il presidente è colui che presiede, non è il cerimoniere. Anzi, il cerimoniere più nascosto è, meglio è. Meno si fa vedere, meglio è. Ma che coordini tutto. È Cristo che fa vibrare il cuore, è l’incontro con Lui che attira lo spirito. «Una celebrazione che non evangelizza non è autentica» (Desiderio desideravi, 37).
È un “balletto”, un bel balletto, estetico, bellissimo, ma non è autentica celebrazione. Il Concilio aveva tra le sue finalità quella di accompagnare i fedeli a recuperare la capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica e a continuare a stupirsi di ciò che nella celebrazione accade sotto i nostri occhi (cfr Desiderio desideravi, 31). Si noti, non parla della gioia estetica, per esempio, o del senso estetico, no, ma dello stupore. Lo stupore è una cosa diversa dal piacere estetico: è l’incontro con Dio. Soltanto l’incontro con il Signore ti dà lo stupore.
Come si può raggiungere questo obiettivo? La risposta si trova già in Sacrosanctum Concilium. Al n. 14, vi si raccomanda la formazione dei fedeli, ma – dice la Costituzione – «poiché non si può sperare di ottenere questo risultato, se gli stessi pastori d’anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne diventeranno maestri, è assolutamente necessario dare il primo posto alla formazione liturgica del clero».
Dunque, il maestro stesso per primo cresce alla scuola della liturgia e partecipa alla missione pastorale di formare il clero e i fedeli. Uno degli aspetti più complessi della riforma è la sua attuazione pratica, cioè il modo in cui si traduce nel quotidiano ciò che i Padri conciliari hanno stabilito. E tra i primi responsabili dell’attuazione pratica c’è proprio il maestro, che insieme al direttore dell’ufficio per la pastorale liturgica accompagna la diocesi, le comunità, i presbiteri e gli altri ministri ad attuare la prassi celebrativa indicata dal Concilio.
Questo lo si fa soprattutto celebrando. Come abbiamo imparato a servire la Messa da bambini? Guardando i nostri amici più grandi che lo facevano. È quella formazione dalla liturgia di cui ho scritto in Desiderio desideravi. Il decoro, la semplicità e l’ordine si raggiungono quando tutti pian piano nel corso degli anni, frequentando il rito, celebrandolo, vivendolo, comprendono ciò che devono fare. Certo, come in una grande orchestra, ognuno deve conoscere la propria parte, i movimenti, i gesti, i testi che pronuncia o che canta; allora la liturgia può essere una sinfonia di lode, una sinfonia appresa dalla lex orandi della Chiesa. Presso le cattedrali vengono avviate scuole di prassi liturgica. È una buona iniziativa.
Si riflette “mistagogicamente” su quanto si celebra. Si valuta lo stile celebrativo, per considerare i progressi e gli aspetti da correggere. Vi incoraggio ad aiutare i superiori dei seminari a presiedere al meglio, a curare proclamazione, gesti, segni, così che i futuri presbiteri, insieme allo studio della teologia liturgica, imparino a celebrare bene: e questo è lo stile della presidenza.
Si impara guardando quotidianamente un presbitero che sa come presiedere, come celebrare, perché vive della liturgia e, quando celebra, prega. Vi esorto ad aiutare anche i responsabili dei ministranti a preparare la liturgia delle parrocchie avviando piccole scuole di formazione liturgica, che coniughino insieme fraternità, catechesi, mistagogia e prassi celebrativa.
Quando il responsabile delle celebrazioni accompagna il vescovo in una parrocchia, è bene valorizzare lo stile celebrativo che lì si vive. Non serve fare una bella “parata” quando c’è il vescovo e poi tutto torna come prima.
Il vostro compito non è disporre il rito di un giorno, ma proporre una liturgia che sia imitabile, con quegli adattamenti che la comunità può recepire per crescere nella vita liturgica. Così, pian piano, lo stile celebrativo della diocesi cresce. Infatti, andare nelle parrocchie e non dire nulla di fronte a liturgie un po’ sciatte, trascurate, mal preparate, significa non aiutare le comunità, non accompagnarle. Invece con delicatezza, con spirito di fraternità, è bene aiutare i pastori a riflettere sulla liturgia, a prepararla con i fedeli.
In questo il maestro delle celebrazioni deve usare una grande saggezza pastorale: se sta in mezzo al popolo capirà subito e saprà bene come accompagnare i confratelli, come suggerire alle comunità quello che è adatto e realizzabile, quali sono i passi necessari per riscoprire la bellezza della liturgia e del celebrare insieme. E infine vi esorto a curare il silenzio. In quest’epoca si parla, si parla… Silenzio. Specialmente prima delle celebrazioni – un momento che a volte si prende come un incontro sociale, si parla: “Ah, come stai? Come vai, come non vai?” –, il silenzio aiuta l’assemblea e i concelebranti a concentrarsi su ciò che si va a compiere. Spesso le sacrestie sono rumorose prima e dopo le celebrazioni, ma il silenzio apre e prepara al mistero: è il silenzio che ti prepara al mistero, permette l’assimilazione, lascia risuonare l’eco della Parola ascoltata. È bella la fraternità, è bello il salutarsi, ma è l’incontro con Gesù che dà senso al nostro incontrarci, al nostro ritrovarci. Dobbiamo riscoprire e valorizzare il silenzio! Questo voglio sottolinearlo tanto. E qui dico una cosa che è collegata al silenzio, ma per i preti.
Per favore, le omelie: sono un disastro; a volte io sento qualcuno: “Sì, sono andato a Messa in quella parrocchia… sì, una buona lezione di filosofia, 40, 45 minuti… Otto, dieci: non di più! E sempre un pensiero, un affetto e un’immagine. La gente si porti qualcosa a casa. Nell’Evangelii gaudium ho voluto sottolineare questo. E l’ho detto tante volte, perché è una cosa che non finiamo di capire: l’omelia non è una conferenza, è un sacramentale.
I luterani dicono che un sacramento, è un sacramentale – credo che siano i luterani –; è un sacramentale, non è una conferenza. La si prepara in preghiera, la si prepara con spirito apostolico. Per favore, le omelie, che sono un disastro, in genere.
Carissimi, prima di salutarvi, desidero ancora una volta esprimere il mio incoraggiamento per ciò che fate al servizio dell’attuazione della riforma, che i Padri conciliari ci hanno affidato. Impegniamoci tutti per proseguire l’opera buona che è stata avviata. Aiutiamo le comunità a vivere della liturgia, a lasciarsene plasmare, perché – come dice la Scrittura – «chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22,17). Offriamo a tutti l’acqua sorgiva che sgorga copiosa dalla liturgia della Chiesa.
Vi auguro buon lavoro e di cuore vi benedico. E per favore, vi chiedo di pregare per me, non dimenticatevi. Grazie!