Alcuni dimostranti asserragliati nel Politecnico di Hong Kong (Reuters)
«Nella polizia che entra nelle università e nei locali di una chiesa non c’è nulla di normale. Potrebbe essere considerata una brutalità. Bisogna istituire una commissione indipendente per indagare su quello che è accaduto». Sono le parole di monsignor Joseph Ha Chi-shing, 60 anni, attuale vescovo ausiliare di Hong Kong (la diocesi da gennaio è retta dall'amministratore apostolico John Tong Hon) e anche il leader morale più significativo e ascoltato dalla gente. Un pastore carismatico che in questi mesi è riuscito a mettersi in sintonia con la parte pacifica del movimento del quale condivide molte istanze. Ora la situazione è ulteriormente precipitata. Le proteste da settimanali sono diventate quotidiane. Gli scontri sono dilagati anche nelle Università, da quella cinese, la settimana scorsa, al Politecnico, dove lunedì mattina gli agenti antisommossa hanno compiuto un’irruzione contro i dimostranti che hanno iniziato a scagliare bombe incendiarie contro la polizia, che a sua volta ha risposto con gas lacrimogeni e cariche. Il vescovo ha tentato personalmente una mediazione pacifica tra gli agenti e gli studenti presenti nel campus del Politecnico dove però non è riuscito a entrare. I media locali lo hanno ripreso alle due mattino mentre parla con un gruppo di poliziotti: «Non abbiamo intenzione di caricare, speriamo in una soluzione pacifica, siamo senza maschere e armi». Un tentativo andato a vuoto perché qualche ora dopo gli agenti in assetto antisommossa hanno fatto irruzione arrestando alcune decine di persone. Su sette milioni di persone, i cristiani a Hong Kong sono il 12 per cento, la metà dei quali, circa trecentomila, cattolici.
Qual è la situazione in questo momento? Lei come la sta vivendo?
«Come molti cittadini di Hong Kong, il malcontento sociale e i disordini di questi ultimi mesi sono qualcosa a cui non eravamo abituati. Sono profondamente preoccupato. E temo che la situazione di stallo e d’impasse non danneggerà solo il nostro presente ma anche il futuro».
Negli ultimi giorni la polizia ha sparato contro due giovani che protestavano e poi è entrata nella parrocchia di Holy Cross per prendere alcuni ragazzi che si erano rifugiati lì. Il giorno dopo, gli agenti hanno fatto irruzione nell’Università Cinese, dove ha sede un Centro di Studi Cattolici. Lei pensa che la polizia abbia oltrepassato il livello di guardia?
«Non sono un esperto nel campo della pubblica sicurezza. La questione se le forze dell’ordine siano andate oltre i loro limiti dovrebbe essere rivolta al Commissario di polizia. Tuttavia, come cittadino, non vedo davvero alcun motivo per esercitare una forza del genere che potrebbe anche essere descritta come brutalità. L’università è il luogo in cui nutriamo i nostri giovani, per educarli a diventare leader della nostra società. La chiesa è il luogo dove ci prendiamo cura dei nostri bisogni spirituali. Nella polizia che entra nelle università e nei locali della chiesa non c’è nulla di normale. Stiamo monitorando la situazione e stiamo cercando consigli legali su cosa si può fare. Peraltro, i cinque giovani manifestanti arrestati nella parrocchia di Holy Cross sono stati rilasciati su cauzione. La parrocchia e le Ong interessate stanno fornendo loro assistenza».
Dopo l’indebolimento di Carrie Lam, capo esecutivo del governo di Hong Kong, la polizia è l’unico potere rimasto ad Hong Kong?
«Questa è una domanda legata più alla politica di Hong Kong e probabilmente alle dinamiche politiche nella Repubblica Popolare Cinese. Non ho né la conoscenza né il ruolo per poter commentare».
Josep Ha, 60 anni, vescovo ausiliare di Hong Kong
La comunità cattolica sta pregando per la città. E in che modo?
«Certo! La preghiera è sempre utile. Abbiamo raduni di preghiera in luoghi pubblici e in varie parrocchie. Alcuni dei nostri giovani organizzano incontri di preghiera online tramite i vari social media in modo che i fedeli possano pregare insieme contemporaneamente, indipendentemente da dove si trovino. Su Youthboilingpoint, la nostra pagina su Facebook e Instagram, ci sono le informazioni su tutte le iniziative».
Alcuni analisti sostengono che la Cina abbia deciso di “abbandonare” Hong Kong lasciandola precipitare in questo abisso di violenza. Lei cosa ne pensa?
«Io non sono un “analista”. Cosa significa sbarazzarsi di Hong Kong? Temo di non essere abbastanza competente per rispondere a questa domanda».
Dopo mesi di proteste pacifiche da parte di milioni di persone, dai primi di ottobre la situazione è precipitata con numerosi episodi di violenza e scontri durissimi. Di chi è la responsabilità?
«Prima di identificare la causa principale del problema, non è opportuno puntare il dito e dire chi dovrebbe essere responsabile. Quindi il primo passo da fare è quello di istituire una commissione indipendente per indagare sulla serie di eventi che sono accaduti».
Esiste un’anima cristiana e cattolica in questa protesta?
«La situazione attuale non è per niente piacevole. Sentiamo tutto il dolore. Cosa farebbe Gesù se fosse un cittadino di Hong Kong? Quando pregò nel Getsemani, disse: “Abba, Padre, tutte è possibile a te: allontana da me questo calice; però non quello che voglio, ma quello che vuoi tu”. Noi cattolici seguiamo Gesù. Al momento, siamo a Hong Kong invece che nel Getsemani. Tuttavia, possiamo pregare Dio come Gesù ha fatto nell’Orto degli ulivi».
I giovani che protestano contro la Cina sono fanatici o persone che non vedono un futuro per sé e i propri figli?
«I nostri giovani non sono solo il futuro di Dio, ma anche, come ha detto papa Francesco in varie occasioni, il presente. C’è sempre un futuro! Io confido in Dio».
Sulle ragioni della protesta, i cattolici di Hong Kong è divisa o condivide le ragioni dei manifestanti?
«La nostra comunità cattolica, come la società civile, può avere punti di vista differenti. Non importa. Lo spettro nella nostra comunità da “pro” a “contro” può essere ampio. La cosa più importante è che crediamo nell'unico Dio e preghiamo lo stesso Dio».