Pietro Schiavon, geometra
all’Uls di Venezia, una
volta andato in pensione
decide di mettere al sicuro
il suo Tfr (Trattamento
di fine rapporto) rivolgendosi
alla Banca Popolare
di Vicenza.
«Non lo avessi mai fatto. Quando
è stato deciso l’aumento di capitale,
per un mese mi hanno tempestato di
telefonate assillanti, domeniche comprese,
per investire nelle azioni della
banca. “Non si preoccupi, la finanziamo
noi. Compri, che sono azioni sicure”,
mi garantivano. Ebbene, nel giro di
pochi mesi quelle 806 azioni acquistate,
che valevano circa 45 mila euro,
oggi sono carta straccia», spiega il
pensionato. Per la precisione valgono
dieci centesimi l’una. Così Schiavon
ha perso tutti i denari frutto del suo
lavoro, che erano già stati destinati ad
aiutare i figli.
Pietro è uno delle decine di migliaia
di casi, e neanche il più drammatico,
che stanno coinvolgendo i
duecentomila risparmiatori truffati
dalla Banca Popolare di Vicenza, il cui
dissesto, come quello analogo di Veneto
Banca, ha gettato nell’angoscia
tante famiglie della regione.
Le cronache di poche settimane fa
raccontano del suicidio del pensionato
di Montebello Vicentino, Antonio
Bedin, che si è sparato al petto dopo
essersi reso conto d’aver perso tutti
i risparmi investiti in azioni della
Banca Popolare di Vicenza. Ma è soltanto
di pochi giorni fa la notizia che
un operaio quarantanovenne di Schio
già un anno fa si era suicidato per lo
stesso motivo, impiccandosi nel enile,
nel giugno del 2015, poco dopo la
svalutazione delle azioni della Popolare.
Ha lasciato una madre anziana e
inferma e una sorella affetta da una
grave disabilità.
TANTE SITUAZIONI DELICATE
Questi due
casi clamorosi sono solo la punta di
un iceberg fatto di sofferenza muta e
disperazione. C’è il risparmiatore anziano
che non può permettersi la badante,
la giovane coppia appena sposata
che rischia di perdere l’abitazione
acquistata con il mutuo, la madre con
un figlio portatore d’handicap che non
potrà più permettersi la casa di cura
per lui. E si paventano altri suicidi per
quella che qualcuno ha denito la “Caporetto
economica del Veneto”.
«Il meccanismo messo in atto
dalla Banca Popolare di Vicenza era
il seguente: in cambio di un fido o di
un mutuo, il funzionario proponeva
azioni dell’istituto da acquistare
con l’assicurazione che in qualunque
momento il cliente avrebbe potuto rivenderle
alla banca allo stesso prezzo.
Peccato che il valore di quelle azioni in
un amen sarebbe crollato, lasciando a
terra il cliente. Un giochino che ora è
sotto la lente di più procure venete»,
afferma l’imprenditore Patrizio Miatello,
portavoce del Coordinamento
associazioni soci banche popolari venete
don Torta, dal nome del battagliero
sacerdote veneziano, parroco
a Dese, che due anni fa, quando sono
scoppiati i casi di Banca Popolare di Vicenza
e Veneto Banca s’è preso a cuore
la tutela dei piccoli soci risparmiatori
beffati, per ottenere i risarcimenti.
LA VOCE DEI VESCOVI
«Farlo è solo mio
dovere morale» spiega don Enrico
Torta, «perché questa vicenda che ha
messo in sofferenza migliaia di persone
è una bestemmia contro Dio, un
peccato mortale, la prova che la nostra
civiltà sta degradando a barbarie, in
nome dello strapotere della finanza.
Per questo chiediamo al Governo italiano
con forza: dov’erano gli organi
di controllo quando tutto ciò avveniva?
Che facevano la Consob e la Banca
d’Italia? E adesso che ne sarà di queste
persone che sono state truffate?».
Il prete non è solo in questa battaglia.
La Chiesa veneta è più volte intervenuta
con la voce dei suoi vescovi.
«Queste banche hanno tradito la loro
vocazione e il rapporto di fiducia con
i clienti», ha tuonato di recente il patriarca
di Venezia, monsignor Francesco
Moraglia.
«Ancora una volta i più deboli
hanno pagato il prezzo più caro. Coloro
che sono responsabili di tale situazione devono sentire l’obbligo morale
di porre rimedio a questo dissesto, trovando
le modalità concrete per restituire
il denaro illecitamente sottratto
e con esso ridare dignità e sicurezza di
vita», ha affermato, invece, monsignor
Beniamino Pizziol, vescovo di Vicenza.
Il Coordinamento, che raccoglie
nove associazioni tra cui Adusbef e
Confedercontribuenti Veneto, da dicembre
sta chiedendo l’istituzione
di una commissione parlamentare
d’inchiesta che si occupi del crac bancario
e di come si sia potuto azzerare
il risparmio di generazioni di oltre
duecentomila veneti, per quasi venti
miliardi di euro. «Ci appelliamo alla
Costituzione che tutela, con gli articoli
46 e 47, il risparmio e i risparmiatori
», precisa Miatello. «Perché qui sta
l’inganno maggiore: si vuol far passare
per investitori incauti, che sapevano
del rischio dei prodotti finanziari propinati
loro, soci risparmiatori, trasformati
in azionisti loro malgrado, che
da generazioni conferivano il frutto
del loro lavoro alla banca cooperativa
del loro paese. Una mistificazione che
mira a togliere i diritti di risarcimento
a tutta questa gente».
E il peggio potrebbe ancora venire.
«È un dramma della fiducia che si pagherà
nei prossimi dieci anni. Quando
le banche chiederanno il rientro dei finanziamenti, che cosa faranno i soci
in difficoltà? Come potranno rialzarsi
i 23 mila imprenditori legati alle
due banche, quando non avranno più
crediti da nessuno?», osserva Andrea
Arman, avvocato di Valdobbiadene,
presidente di “Azionisti associati”, che
fa parte del Coordinamento don Torta.
«Ma la cosa ancor più grave», continua
Arman, «è che c’è ancora almeno
un 20 per cento di piccoli soci del tutto
ignari della loro sorte, gente che non
sa ancora di aver perso tutto, complice
l’omertà della banca che teme che si
portino via i depositi».