C’è un momento, davanti allo schermo, in cui il silenzio della sala si fa denso, quasi fisico. È il momento in cui lo sguardo di chi ha perso tutto – famiglia, casa, lavoro, amici – incrocia quello di chi può ancora scegliere. È in quell’istante che “Lo sguardo dell’altro – Palabek, Uganda” smette di essere solo un docu-film e diventa un’esperienza condivisa, un ponte emotivo tra mondi distanti eppure vicini. La proiezione speciale all’Ariosto Anteo Spazio Cinema di Milano ha restituito questo senso di urgenza e di umanità. Grazie anche alla presenza di Alessio Boni. L’attore bergamasco è protagonista ma mai al centro, si fa voce narrante, e ponte degli operatori di Cesvi, l’organizzazione non governativa (ong) italiana che da quarant’anni trasforma la solidarietà in azione concreta.
Il racconto di Alessio Boni: “Gli eroi sono loro”
«Perché lo sguardo dell’altro? Perché ne ho necessità», confida Alessio Boni, attore e volto del documentario, durante l’incontro con il pubblico. «Io presto la mia immagine, se riesco raccolgo soldi, ma gli eroi stanno là. Loro sono quelli che fanno partire lo sviluppo, che rischiano la vita ogni giorno per dare dignità a chi non ha più nulla». Boni racconta senza filtri la sua esperienza sul campo, il confronto con una realtà dove il dolore si intreccia alla speranza, dove la povertà non è solo materiale ma anche di opportunità, e dove la dignità si conquista giorno dopo giorno, con fatica e coraggio.
L’attore riflette anche sul senso della fortuna, su quanto sia casuale nascere in un luogo piuttosto che in un altro. «Noi non possiamo scegliere dove nasciamo, in quale famiglia. Se fossi nato in Sud Sudan, o ad Haiti, o in Ucraina, la mia vita sarebbe stata diversa. Ecco perché sento il bisogno di resettare, di uscire dalla nostra società egocentrica e narcisista, per ritrovare uno sguardo vero, sincero, che ti valuta per ciò che sei, non per ciò che possiedi».
Boni si sofferma su episodi che hanno segnato il suo percorso: «Ho visto persone laureate in medicina, ragazzi che hanno imparato a usare il computer e ora lavorano in città, donne che si fanno carico di intere famiglie. In quei volti c’è una voglia di rinascita che commuove. Non si tratta solo di sopravvivere, ma di poter finalmente vivere, studiare, costruire un futuro».
Quarant’anni di cooperazione e trasparenza
«Cesvi nasce quarant’anni fa dal sogno di alcuni signori che volevano fare qualcosa di positivo nel mondo, e farlo bene», racconta la presidente Gloria Zavatta. «Non si tratta solo di portare aiuti e poi andare via, ma di costruire autonomia e responsabilizzazione, affinché le persone possano portare avanti la propria vita con speranza».
Oggi Cesvi opera «in quasi 30 Paesi, dall’India al Sudafrica, dal Brasile alla Colombia, passando per il corno d’Africa, Haiti, Siria, Gaza e Ucraina. In Italia, l’ong è impegnata anche nell’accompagnamento di famiglie in difficoltà, con progetti che combattono l’abbandono scolastico e il maltrattamento minorile. La trasparenza è fondamentale: siamo stati tra le prime ong a certificare i bilanci, a dotarci di organismi di vigilanza. Tutto quello che facciamo segue regole precise, perché fare bene significa anche farlo con responsabilità», sottolinea Zavatta.
Zavatta ringrazia pubblicamente Alessio Boni per la sua sensibilità e umanità, qualità che emergono chiaramente sia nel documentario che nel suo impegno personale a fianco di CESVI. “Il suo sguardo ha portato in questo viaggio in Uganda una profondità che va oltre la semplice testimonianza.”
Palabek: un rifugio tra guerra e crisi climatica
Il campo di Palabek, nel cuore dell’Uganda, è un luogo che pochi conoscono, ma che per migliaia di rifugiati sud sudanesi rappresenta la possibilità di ricominciare. Qui, chi fugge dai conflitti e dalla crisi climatica trova terre da coltivare, messe a disposizione dagli ugandesi, e un sistema di accoglienza che cerca di restituire dignità e futuro. Roberto Vignola, vicedirettore generale di Cesvi, aggiunge: «L’Uganda è il paese africano che accoglie il maggior numero di rifugiati: circa 1,9 milioni di persone, di cui un milione dal Sud Sudan. Il paese soffre anche per la crisi climatica, alternando siccità prolungate a inondazioni devastanti, con gravi ripercussioni sulla sicurezza alimentare».
Ogni giorno, almeno cento nuovi rifugiati arrivano a Palabek, in fuga da violenza e fame. «Il sistema di accoglienza, come si vede nel documentario, è sostenuto da organizzazioni umanitarie e dal governo ugandese. Cesvi lavora per offrire istruzione, protezione, opportunità di lavoro e diritti. Ogni rifugiato ha diritto a essere più di un numero».
Un viaggio che cambia chi lo compie
“Lo sguardo dell’altro – Palabek, Uganda” non è solo un reportage, ma un invito a guardare oltre i confini della propria quotidianità. Il film mostra storie di donne che si fanno carico di famiglie numerose, di ragazzi che trovano nel sapere la chiave per una nuova identità, di comunità che si ricostruiscono a partire dalla collaborazione e dalla solidarietà. Boni sottolinea come il contatto con questa realtà lo abbia arricchito e cambiato: «Quando torni a casa, sei più attento a tutto: a non sprecare l’acqua, a non calpestare una pianta, a non dare per scontato nulla. E capisci che il vero progresso non è solo materiale, ma umano, fatto di piccoli gesti e di attenzione verso gli altri».
Un messaggio universale
Il docu-film, quinto della serie dedicata ai progetti di Cesvi, è un potente richiamo alla responsabilità collettiva. «Solo insieme possiamo fare la differenza - ammette Boni -. Un capello da solo non pesa nulla, ma cento capelli insieme fanno la forza. L’intelligenza risolve i problemi, la saggezza li evita, la stupidità li crea. Noi dobbiamo scegliere da che parte stare».
“Lo sguardo dell’altro – Palabek, Uganda” lascia nello spettatore la consapevolezza che la solidarietà non è un gesto isolato, ma un percorso condiviso. Un viaggio che parte dallo sguardo, passa per l’ascolto e si traduce in azioni concrete, capaci di restituire dignità e futuro a chi ha perso tutto, ma non la voglia di ricominciare. Anche perché dietro i numeri, però, restano sempre le storie. «Come quella del ragazzo arrivato a Palabek a 13 anni e oggi lavora in città grazie a un corso di informatica. O della donna che ha accolto tre bambini senza famiglia, offrendo loro una casa, un pasto, un futuro», dice l'attote bergamasco. Sono queste le vite che il documentario accende, con delicatezza e rispetto.
«Lo sguardo dell’altro mi serve», dice Boni «perché in questo mestiere che lavora con i sentimenti, ogni tanto devi ricordarti la verità. La verità dell'umanità. E oggi c'è sempre più bisogno di guardare gli altri davvero. Non solo per cambiare loro, ma per cambiare noi stessi». E chiude con un invito: «Guardare davvero l'altro, senza filtri, è l'inizio di ogni cambiamento. Non serve essere in Uganda per farlo. Basta cominciare da qui, ora».
La serata si chiude con un applauso lungo, commosso. Ma anche con una promessa che aleggia nella sala. Quella di non dimenticare. Di fare qualcosa. Di cominciare, almeno, a guardare.
Foto di © Gianfranco Ferraro