“Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu può ora aggiungere alla sua lista di gloriosi fallimenti una crisi diplomatica con il più stretto alleato di Israele, la superpotenza americana - protettrice di Israele all'estero, che ha fatto di tutto per stare al suo fianco dall'inizio della guerra”. Sono le prime righe dell’editoriale con il quale il quotidiano israeliano Haaretz commenta quanto è accaduto lunedì 25 marzo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Il Consiglio di Sicurezza ha approvato lunedì una risoluzione (la numero 2728) che chiede un “cessate il fuoco immediato” per il mese di Ramadan (cominciato l’11 marzo si concluderà il 10 aprile), il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi e "l'urgente necessità di espandere il flusso" di aiuti a Gaza. I voti a favore sono stati 14, mentre gli Stati Uniti si sono astenuti. Gli Stati Uniti hanno dichiarato di averlo fatto in parte perché la risoluzione non condannava Hamas. Però non hanno esercitato il loro diritto di veto, consentendo così il passaggio della risoluzione che era stata fortemente sostenuta dai dieci membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La risoluzione è stata sostenuta con forza dall’Algeria, mentre è stata respinta una proposta della Russia che chiedeva un cessate il fuoco “permanente”.
La mossa inedita da parte degli Stati Uniti alza il livello dello scontro, sempre più aperto, fra il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu e la Casa Bianca di Joe Biden. “Per Biden, che ha un attaccamento profondo e viscerale a Israele ed è stato molto riluttante a rompere con Netanyahu, la rottura ha segnato il culmine di mesi di frustrazione”, scrive il quotidiano Washington Post.
L'ufficio di Netanyahu ha definito l'astensione degli Stati Uniti dal voto un "chiaro allontanamento dalla posizione coerente degli Stati Uniti in seno al Consiglio di Sicurezza fin dall'inizio della guerra" e ha affermato che "danneggia sia lo sforzo bellico che quello per il rilascio degli ostaggi".
In seguito al voto, Netanyahu ha annullato il viaggio previsto a Washington di una delegazione guidata dal ministro degli Affari strategici Ron Dermer e dal consigliere per la Sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi. Tuttavia in queste ore si trova a Washington Yoav Gallant, il ministro della difesa israeliano.
Ora che cosa può accadere? Sia Gallant sia il ministro degli esteri israeliano Israel Katz hanno escluso una sospensione delle operazioni militari a Gaza. “Lo Stato di Israele non smetterà di sparare. Distruggeremo Hamas e continueremo a combattere finché l'ultimo ostaggio non sarà tornato a casa”, ha dichiarato Katz.
Intervistato dal Washington Post, Frank Lowenstein, ex funzionario del Dipartimento di Stato che ha contribuito a guidare i negoziati israelo-palestinesi nel 2014, indica tre fattori principali che hanno probabilmente portato agli eventi di lunedì: i profondi disaccordi tra Washington e Israele su un'invasione su larga scala di Rafah; la catastrofica situazione umanitaria; e l'annuncio di nuovi insediamenti da parte di Israele mentre il Segretario di Stato Antony Blinken era in visita nel Paese venerdì.
Quel giorno Israele ha annunciato la più grande confisca di terre in Cisgiordania dal 1993. La mossa è stata vista come un enorme segno di mancanza di rispetto per gli Stati Uniti. Il ministro delle Finanze di estrema destra, l’estremista Bezalel Smotrich si è vantato degli insediamenti. Lo sgarbo è stato diligentemente annotato dalla Casa Bianca.
“Netanyahu”, scrive ancora Haaretz in conclusione del suo editoriale, “ è diventato un peso per Israele. Lo sta esponendo a rischi strategici che potrebbero avere un prezzo molto alto. Per il bene della sua stessa sopravvivenza politica, sta intenzionalmente danneggiando i cittadini israeliani. Deve dimettersi e dare a Israele la possibilità di salvarsi dai danni che ha causato”.
In questa fase Biden probabilmente scommette su una tempesta politica che in Israele possa portare alla caduta del primo ministro. Ma Netanyahu, pur screditato da tempo agli occhi dell’opinione pubblica israeliana e punito dai sondaggi, non intende mollare facendo leva sulla situazione di emergenza che vive Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. La speranza di Netanyahu è quella di bene duro fino alle elezioni presidenziali americane del 5 novembre, nella speranza di un ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump. Ma novembre è ancora lontano e di recente, in una intervista a un quotidiano israeliano, anche Trump ha detto agli israeliani “dovete concludere la vostra guerra”. Netanyahu e Israele rischiano davvero di restare senza amici.