Se siete di stomaco forte, sentite
questa: «Un giorno ho preso
tra le dita una ventina di grilli vivi
e me li sono infilati in bocca
lasciandoli correre su e giù prima di masticarli.
Ero curioso di vedere che cosa sarebbe
successo. All’epoca, allevavo grilli
in quantità e ne mangiavo un centinaio al
giorno (un grillo pesa circa un grammo).
Quella volta, invece di schiacciarli prima
di nutrirmene come facevo abitualmente,
mi sembrò scientificamente interessante
metterli in bocca vivi e poi ragionare
su quell’esperimento. Sono stato punito:
un grillo mi ha morsicato la lingua con le
sue mandibole piccole ma potenti. Non
ci sono più cascato, da quella volta prima
li schiaccio e poi faccio le mie riflessioni
scientifiche. Lo stesso comportamento
tengono gli scimpanzé: avevo notato che
schiacciano l’insetto, poi se lo mettono in
bocca e lo masticano. Lì per lì non avevo
capito che c’era un buon motivo per fare
così. La natura non fa sconti nel ricordarvi
le sue istruzioni per l’uso»...
Sembra il delirio di un folle. Invece, a
parlare così è un ingegnere nucleare laureato
alla prestigiosa Ecole Polytécnique
di Parigi, studioso del problema energetico
a livello globale, e poi diventato anche
un esperto di alimentazione, passando
dalla fame di energia alla fame di cibo:
del resto, il rapporto tra questi problemi è
stretto, nel mondo due miliardi di uomini
non hanno accesso all’elettricità, e di questi
un miliardo non ha neppure alimenti e acqua in quantità sufficienti. Si chiama
Bruno Comby e ha scritto, tra gli altri, un
libro intitolato Insetti, che bontà.
Mangiare insetti vivi in Francia ha un
precedente illustre. Si dice che a fine Settecento
l’astronomo Lalande tenesse dei
ragni nella sua tabacchiera e li ingoiasse
in riva alla Senna. In realtà i ragni non sono
affatto insetti, sono aracnidi, cosa ben
diversa, e infatti i ragni hanno otto zampe
mentre gli insetti ne hanno sei. Ma culturalmente
per noi occidentali è identico
l’orrore all’idea di mangiare gli uni o gli altri,
vivi o preventivamente schiacciati.
Eppure forse un giorno dovremo ricrederci.
Bruno Comby, da bravo ingegnere,
ama i numeri e ha fatto le sue ricerche
assaggiando 400 specie di insetti, un menù indubbiamente vario, e di ognuna
misurando il valore nutritivo. Il risultato
è che in media un etto di insetti contiene
121 calorie, 12,9 grammi di proteine, 5,5 g
di grassi, 5,1 di carboidrati (di qui il sapore
dolciastro), 75,8 milligrammi di calcio,
185,3 di fosforo e 9,3 di ferro. Se volete un
confronto, un ettogrammo di spinaci (che
una leggenda metropolitana vorrebbe ricchi
di ferro), contiene solo 3 milligrammi
di questo elemento.
Un altro componente
importante degli insetti è la chitina: scoperta
dal chimico e farmacista francese
Henri Braconnot nel 1811, è
il principale costituente dell’esoscheletro
degli insetti e, dopo
la cellulosa, è il polimero
più abbondante in natura. Il sistema
digestivo dell’uomo non
è però in grado di assimilare né
cellulosa né chitina, quindi la restituisce
intatta all’ambiente.
Entrando nei particolari, cento grammi
di larve fresche di certi coleotteri (ce
ne sono 400 mila specie) forniscono 250
calorie (per chi è interessato, la misura
riguarda i curculionidi, rappresentati in
ben 40 mila specie).
Cento grammi di crisalidi
fresche di baco da seta offrono un
po’ più di 200 calorie. Molto meglio 100
grammi di larve di lepidotteri affumicate
(le farfalle sono lepidotteri, ce ne sono
157 mila specie). Ma il massimo è rappresentato dalle termiti: 100 grammi di termiti
fresche forniscono 350 calorie, e si
arriva a 600 se le termiti sono essiccate.
Se mettiamo a confronto un hamburger di
bovino e un fagottino di termiti, sul piano
nutrizionale l’hamburger perde clamorosamente:
contiene 245 calorie e 21 grammi
di proteine all’etto, contro 610 calorie
e 38 grammi di proteine.
Finora abbiamo un po’ scherzato. Ma
dietro la gastronomia degli insetti si nasconde
un discorso serio. La biomassa —
cioè la sostanza vivente — della Terra
è essenzialmente vegetale: rappresenta
il 97 per cento. In teoria,
quindi, i vegetariani hanno
a disposizione cibo in enorme
abbondanza. Chi si nutre
di carne può contare soltanto
sul 3 per cento della biomassa.
Pochino. Ma di quel 3 per cento,
il 2,5 è costituito da insetti. Un modo per
affrontare il bisogno di quantità di cibo
sempre più grandi porta dunque a prendere
in considerazione gli insetti, o esapodi,
come li chiamano certe classificazioni.
Non a caso la Fao, l’organismo dell’Onu
per l’agricoltura e l’alimentazione, ha avviato
un programma di ricerca sugli insetti
come cibo.
Già, ma chi è disposto, come Bruno
Comby, a cacciarsi dei grilli in bocca? Attenzione,
qui entra in gioco un aspetto che è culturale. Molti cibi confezionati
contengono un colorante regolarmente denunciato
sull’etichetta: l’E120. Serve a dare
una colorazione rossa ed è “naturale”. Ma si
estrae da un insetto, Cocci cacti, popolarmente
cocciniglia. Gli insetti, dunque, sono già tra
i commestibili del nostro supermercato.
Attenzione a non essere provinciali.
In
Thailandia le locuste e varie altre specie di insetti
fanno parte della cucina tradizionale. Bachi
da seta e cimici d’acqua giganti sono altre
specialità thailandesi. I bruchi fritti, un tempo
piatto tipico dei boscimani, si sono diffusi
in buona parte dell’Africa, certe farfalle del
Madagascar si mangiano fritte in pastella, nel
medio oriente si apprezzano le tartine di cimici,
in Messico abbondano piatti a base di insetti
fritti. Ma si può restare in Europa: in Olanda
alcune macellerie vendono insetti, a Zaanstad,
vicino ad Amsterdam, una macelleria ha
in vetrina barattoli da 50 grammi pieni di locuste
e larve della farina.
Queste ultime, per
inciso, inevitabilmente le mangiamo tutti senza
accorgercene in quanto è impossibile eliminarle
dalla farina con cui si fanno spaghetti,
pane, pizze. Del resto non ci stupiamo davanti
al caviale fatto con uova di formica da quando
si è saputo che piace ad Angelina Jolie.
Di entomofagia ci si occupa a livello scientifico.
In Italia la studia il professor Roberto Valvassori
all’Università dell’Insubria (con sedi a
Como e a Varese). Ricercatori dell’Università
del Messico hanno catalogato 1.700 specie di
insetti utili nell’alimentazione. La loro abbondanza
è tale che basterebbero a sfamare 9 miliardi
di persone, due miliardi di più dell’attuale
popolazione mondiale. Gusto e disgusto
sono separati da un confine sottile: i ricercatori
messicani hanno scoperto che in 90 Paesi
del mondo gli scarafaggi sono considerati
commestibili.
In Italia le cose potrebbero cambiare presto.
Chef dotati di grande carisma come Carlo
Gracco stanno esplorando l’entomofagia
impanando tuorli d’uovo con larve tritate.
D’altra parte nessuno si tira indietro davanti
a ostriche da ingerire vive, cozze da succhiare
appena scottate, gamberetti dall’aspetto non
molto diverso da quello delle locuste. Il miele,
secreto delle api, è per tutti una leccornia fin dal tempo dell’antico Egitto.
René Redzepi,
chef dello stellatissimo ristorante “Noma”
di Copenaghen, ha le formiche fritte tra le sue
specialità predilette e sostiene che sono paragonabili
ai popcorn ma più nutrienti sotto l’aspetto
proteico e più sane per la loro scarsità
di grassi.
Di Redzepi sono molto apprezzati
l’antipasto di formiche con panna fresca e il
dessert ai mirtilli e formiche. A Città del Messico
è famoso il ristorante di cucina pre-ispanica
dove opera lo chef Fortino Rojas, che ha
tra le sue ricette esclusive (di origine azteca)
crisantemi ripieni di larve di formiche, cavallette
essiccate e servite con guacamole, scarafaggi
in salsa piccante.
Bisogna poi considerare gli insetti come
“cibo indiretto”.
Cioè come alimento per animali
da allevamento, a cominciare dai pesci.
Farine e mangimi ricavati da insetti hanno un
grande futuro nell’acquacoltura. Lo sostiene,
tra gli altri, Eva Ursula Muller, direttrice
del Dipartimento delle politiche economiche
e forestali della Fao.
Già oggi, dal colorante
E120 a veri e propri alimenti, gli insetti entrano
nella dieta di circa due miliardi di persone,
perlopiù ignare della cosa, anche perché
le piccole quantità e la trasformazione tecnologica
li hanno resi irriconoscibili. E allora? Allora,
buon appetito.