«Di fronte alla malattia grave e alla sofferenza dobbiamo prima di tutto affrontare la questione con il massimo rispetto e con la nostra preghiera, ma certamente ci tengo a sottolineare il principio dell’inviolabilità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale». Il cardinale Paolo Lojudice è intervenuto così, con un comunicato stampa, sulla vicenda di Daniele Pieroni, lo scrittore e poeta 64enne morto il 17 maggio a Chiusi (Siena) somministrandosi il farmaco letale per il quale aveva chiesto l’autorizzazione alla Asl. È il primo caso di suicidio assistito dopo che la regione ha approvato, lo scorso febbraio, la legge che regola temi e modalità di accesso al fine vita.
Questa vicenda, scrive ancora il presidente della Conferenza episcopale toscana, «ci lascia con una profonda amarezza ed è il segno di come sull’argomento del fine vita ci sia la necessità di un vero confronto a livello nazionale, lontano dai riflettori, che punti prima di tutto a ridare centralità alle cure palliative accompagnando il paziente non più guaribile nel tempo della sofferenza e del fine vita.
La solitudine e il dolore devono trovare rete a cui aggrapparsi. Il diritto alle cure palliative è un diritto fondamentale da garantire a tutti i pazienti e sono convinto che su questo ci sia ancora tanto da fare».
Lo scrittore, ha spiegato l’associazione Luca Coscione, che ha reso noto il decesso, «ha scelto il percorso previsto dalla "sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, nota come 'Cappato-Dj Fabo', che ha fissato le quattro condizioni per il suicidio medicalmente assistito: essere capace di autodeterminarsi, avere una patologia irreversibile, avere sofferenze fisiche o psicologiche per la malattia ritenute intollerabili, dipendere da trattamenti di sostegno vitale». Come Pieroni hanno ricevuto il via libera per il suicidio assistito in Italia, altre 13 persone. Il primo è stato Federico Carboni, nel 2022, che si è suicidato nella sua casa di Senigallia, altre cinque persone, invece sono state autorizzate in Veneto. Altri cinque, dopo aver ottenuto il via libera, ci hanno invece ripensato e hanno rinunciato al suicidio. Segno, forse, che, se fossero più accessibili le cure palliative, non solo sul piano fisico, ma anche del sostegno psicologico e relazionale per il paziente e per tutta la famiglia e il contesto generale in cui vive, la sofferenza potrebbe essere alleviata e condurre a scelte meno drammatiche.