Nel gennaio 1975 fu scoperto a Firenze un luogo dove il Partito radicale organizzava sistematicamente un gran numero di aborti clandestini. I dirigenti si giustificarono asserendo che si trattava di un servizio di “aiuto alla donna”. Un gruppo di persone rispose affermando che «le difficoltà della vita non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà». Tra questi Carlo Casini, classe 1935, il cui impegno ha radici lontane e ha inizio sulla carta proprio in quello stesso anno con la fondazione dei Cav (Centri di aiuto alla vita) e del Movimento per la vita.
«Sono stato tra i fondatori, ma non l’unico. Io credo che il fondatore sia stato il valore della vita che ha animato i cuori di persone che riconoscevano nel bambino non nato “il più povero dei poveri”, secondo la definizione di santa Teresa di Calcutta. Spero di avere svolto un ruolo significativo a causa della mia storia personale e della mia professione. Ero giudice e sono sempre stato convinto che il diritto deve essere la forza dei deboli, cosicché l’aborto legale verso cui camminava in quegli anni l’Italia (la legge che lo ha legalizzato è del 1978, ndr) mi appariva e mi appare come la più radicale delle ingiustizie. La mia professionalità, scelta per servire i più deboli, si è messa così a servizio dei “più poveri tra i poveri”, sia per salvare vite umane, sia per riportare nella legge la giustizia misurata sui diritti dei più deboli».
Quali successi ha ottenuto?
«Il primo traguardo sono stati gli almeno 200 mila bambini aiutati a nascere non contro le loro mamme, ma insieme alle loro mamme. Ricordo che il primo caso assistito riguardava una ragazza madre del Meridione che aveva letto proprio su Famiglia Cristiana il numero telefonico del nostro primo Cav. Il secondo obiettivo, quello di cambiare la legge, non è stato raggiunto. Anzi, è diventato sempre più difficile, ma spero di aver contribuito a mantenere in molte coscienze l’inquietudine e la non rassegnazione di fronte all’ingiustizia».
Ha un maestro che lei ritiene importante per la sua formazione?
«Penso a mia madre, mamma di nove figli, rimasta vedova quando io, il penultimo, avevo tre anni. La mia famiglia era povera e mio padre, che era un operaio, morì in un incidente sul lavoro. Mia madre chiamava Dio “Provvidenza”. Senza parole, ma con la sua vita, mi ha insegnato che i figli meritano sempre accoglienza, che l’amore è il senso della sessualità, che Gesù è la vera forza per superare le difficoltà. Dovrei ricordare anche molti sacerdoti, essenziali nella mia adolescenza e giovinezza. Un momento importante è stato il primo campo scuola organizzato dall’Azione cattolica italiana nel 1950 a Montecocco in Friuli. Quei 25 giorni hanno cambiato la mia vita, germinando nel mio animo il desiderio di far conoscere il Vangelo ai miei coetanei. Diventai dopo qualche anno presidente della Gioventù italiana di Azione cattolica di Firenze. Una grande influenza è stata esercitata sui miei ideali sociali, e sullo stesso Movimento per la vita, da Giorgio La Pira, mio professore all’università, mio sindaco a Firenze».
Nel volume Vita nascente raccoglie battaglie, progetti e vittorie…
«Grande conforto mi viene pensando ai bimbi che abbiamo aiutato a nascere, nonostante sconfitte, solitudini, incomprensioni. È un risultato l’avere impedito che la legge del 1978 e il referendum del 1981 chiudessero la questione dell’aborto. La difesa della vita nascente è diventata più difficile anche per la diffusione dell’aborto chimico e delle tecnologie riproduttive, che mettono nelle mani dei medici una gran quantità di embrioni. Ma oggi la vera difficoltà consiste nel porre la domanda: “Il concepito è un essere umano o una cosa?”. Il pensiero dominante non vuole sentirla, perché mette a rischio comportamenti pratici considerati utili. Ma non è questione marginale. La vittoria ci sarà al termine di un confronto epocale e planetario, quando proclameremo tutti insieme, nei fatti e nelle leggi, che il concepito è uno di noi».
Che ruolo ha avuto sua moglie nel suo impegno per la vita?
«Mi ha sostenuto in tutte le mie attività, non solo con il suo affetto, ma anche con il suo consiglio e il suo stimolo. In pratica, tutto ciò che ho fatto a servizio della vita lo abbiamo fatto insieme. Mi piace ricordare che mi ha accompagnato in almeno la metà delle migliaia di incontri ai quali ho partecipato in Italia e all’estero. Ovviamente, in famiglia si è sempre parlato e si parla ancora del valore della vita e della famiglia. I miei figli mi hanno dato sempre aiuto concreto condividendo tutte le battaglie. Senza, sarebbe stato molto difficile operare».
E i suoi figli, tra loro c’è un “erede”?
«Marina, la maggiore, è ricercatrice presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma ed è docente di Bioetica e biodiritto. Questo la dice lunga sulla profondità della collaborazione che mi ha prestato e mi presta. Abbiamo scritto insieme libri e articoli e si è consolidato un metodo collaborativo efficace. Ma tutti i miei figli sono “eredi” nel servizio alla vita, in cui si riconoscono pienamente».
La generazione dei suoi nipoti recepisce il valore della vita?
«I quattro più piccoli, Matteo, Martina, Andrea e Aurora, possono solo respirare l’aria che in famiglia contiene il profumo del valore della vita. I più grandi, Giovanni, Lorenzo, Caterina, Maria Francesca, Teresa e Federico, condividono il nostro impegno e partecipano alle iniziative del MpV. Nella mia esperienza anche i giovani sono affascinati dal valore della vita, ma bisogna saperlo proporre in chiave positiva. Più che dell’orrore dell’aborto, dobbiamo parlare del miracolo della vita. Anche per questo sono convinto che il riconoscimento del concepito come “uno di noi”, come essere umano, sia la prima pietra di un nuovo umanesimo. In primo luogo della famiglia e del cammino verso Dio. Infatti, ogni vita che comincia è un miracolo che avviene nelle nostre case».