La notizia delle due gemelline siamesi senegalesi che condividono diversi organi assolutamente vitali e per entrambe le quali ipotizzare la sopravvivenza nel medio e lungo periodo è del tutto irreale, ha fatto il giro del mondo ed è entrata, direi di forza, nel catalogo dei “casi bioetici” di rilievo estremo, anche a seguito delle dichiarazioni molto lucide e molto ferme del papà delle due bimbe, Ibrahim Ndiaye. Dopo averle portate nel Regno Unito, nell’illusione che un’equipe chirurgica riuscisse a portare a termine un intervento salvifico miracoloso e dopo aver perso quest’ultima speranza, Ibrahim ha dichiarato di non voler dare alcuna indicazione su quale delle due bimbe privilegiare nel corso di un’operazione di separazione, che potrebbe far sopravvivere una delle due sorelline, ma non certamente ambedue; nate insieme, il destino ineluttabile delle due gemelle dovrebbe essere quello di morire assieme, nel momento in cui le dinamiche incomprimibili della crescita biologica renderebbero impossibile, per gli organi condivisi, garantire la sopravvivenza di due organismi. A quanto è dato di capire, questa tragica decisione paterna (che tutto comunque fa pensare sia condivisa anche dalla mamma delle due piccole) sarebbe stata accettata sia dai medici dell’ospedale in cui le bimbe sono ricoverate, sia in genere dalla pubblica opinione rimasta non solo colpita, ma in qualche modo sconvolta dall’evento e dalla sua complessità.
Di fronte a casi così estremi e così rari (anche se non rarissimi) la bioetica e i bioeticisti hanno certamente come primo dovere quello di rispettare la drammaticità del dolore che emerge da queste vicende, prima di emanare valutazioni sentenziose e tutto sommato sterili. Ma poiché , come si è detto, questi eventi, per quanto rari, non sono rarissimi e coinvolgono non solo l’emotività dei genitori, ma anche la scienza e la coscienza dei medici, il doveroso rispetto del dolore non deve impedirci alcune considerazioni ulteriori. Le indicazioni dei genitori in ordine alle terapie, anche estreme, da praticare sui loro figli hanno un immenso valore, solo però al fine di integrare le uniche indicazioni davvero rilevanti e decisive, cioè quelle elaborate dai medici nella prospettiva dell’unico obiettivo che davvero conti, la salvezza della vita. Se, nel caso delle due gemelline siamesi, una vita almeno può essere salvata, il dovere dei medici, anche contro l’opinione del padre, appare ineludibile: l’operazione di separazione delle due piccole sorelle va fatta, se esistono (come davvero sembra che esistano) alcune possibilità che almeno una delle due possa essere salvata . Se col cuore possiamo immedesimarci nell’opinione paterna, con la ragione dobbiamo riconoscere che il diritto alla vita delle due piccole, o almeno di una di esse, ha un primato, che va assolutamente riconosciuto e rispettato, anche e soprattutto in un contesto così tragico e così doloroso.
*Giurista, filosofo e Presidente onorario del Comitato nazionale di Bioetica